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Il ponte sul Danubio tra la Romania e la Bulgaria.

Dieci anni spesi tutto sommato bene

Dieci anni fa la Romania e la Bulgaria aderivano all’Unione europea. Molta strada è stata fatta sul versante dell’integrazione e molta rimane da fare, ma il bilancio, osserva il direttore di RFI Romania, è globalmente positivo.

Pubblicato il 6 Febbraio 2017 alle 16:32
Il ponte sul Danubio tra la Romania e la Bulgaria.

Esattamente dieci anni fa la Romania e la Bulgaria si godevano i loro primi giorni da paesi dell’Unione europea. I cittadini dei due paesi cominciavano ad attraversare la frontiera con la carta d’identità, la crescita economica era solida e le notizie sulla crisi finanzia- ria sembravano echi lontani d’oltreoceano. I leader politici calcolavano freneticamente quanti miliardi di euro sarebbero arrivati. E all’orizzonte non si vedevano nuvole. Oggi, tuttavia, si può davvero dire che l’adesione di Romania e Bulgaria all’Unione europea sia stata un successo?

Secondo i dati di Eurostat, i due paesi partivano praticamente dalla stessa situazione: nel 2007 il pil pro capite della Bulgaria equivaleva al 38 per cento della media europea e quello della Romania al 39 per cento. Negli ultimi dieci anni entrambi i paesi sono riusciti a colmare in parte la distanza. La Romania ha fatto leggermente meglio, raggiungendo il 57 per cento della media europea, mentre la Bulgaria si è fermata al 47. Nella classifica della ricchezza, la Romania rimane il penultimo paese dell’Unione, ma ha superato gli altri stati dei Balcani che non ne fannoparte e laTurchia, il cui pil pro capite è rimasto fermo al 52 per cento della media europea. Solo la Croazia, entrata in Europa nel 2013, è un punto sopra la Romania.

Corruzione e povertà

In Bulgaria, inoltre, il tasso di povertà è crollato dal 60 per cento del 2006 all’attuale 41 per cento. Anche in Romania il calo è stato notevole, dal 47 al 37 per cento. Nei sette anni dell’esercizio finanziario 2007- 2013, a Bucarest sono arrivati 20 miliardi di euro, mentre Sofia ne ha ricevuti sette. Il successo economico e la riduzione della povertà sono stati però accompagnati dall’esodo della forza lavoro. Stando ai dati forniti dall’agenzia di stampa bulgara Novinite, nel 2015 i bulgari all’estero erano due milioni e mezzo. I romeni che sono andati a lavorare in altri paesi dell’Unione sono circa tre milioni.

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Va anche sottolineato che lo sviluppo degli ultimi anni non ha riguardato tutte le aree dei due paesi in modo omogeneo. La Bulgaria ha costruito una grande autostrada per collegare la capitale al porto di Burgas, sul mar Nero, sta ammodernando il collegamento con il confine greco e a Sofia sono state inaugurate nuove linee e stazioni della metropolitana e una tangenziale a dieci corsie. I centri per gli affari e per il commercio sono cresciuti in modo sensazionale, a Sofia come a Bucarest. E con un pil pro capite pari al 125 per cento della media europa, la capitale romena è capo la della regione. Allo stesso modo anche le altre grandi città romene, come Cluj Napoca, Timișoara e Iași, crescono a un ritmo vertiginoso, grazie agli investimenti stranieri e alla tecnologia. Eppure, cinque delle otto “regioni di sviluppo” del paese sono tra le venti più povere dell’Unione. La situazione è identica in Bulgaria.

Entrambi i paesi sono entrati nell’Unione gravati dalla zavorra del Meccanismo di cooperazione e verifica, che controlla i progressi fatti nel campo della giustizia e della lotta alla corruzione. Questo ha impedito un’integrazione più profonda: Romania e Bulgaria, infatti, non fanno ancora parte dello spazio Schengen. La Bulgaria ha più di un motivo per essere invidiosa dei progressi fatti sull’altra riva del Danubio in materia di indipendenza del potere giudiziario e lotta alla corruzione. Tuttavia durante la campagna elettorale per le legislative dello scorso dicembre diversi politici dei partiti oggi al governo (i socialdemocratici del Psd e i liberali dell’Alde) hanno fatto capire di voler cambiare direzione. E presto il sistema giudiziario romeno potrebbe trovarsi di fronte a nuove dfficoltà.

L’adesione, quindi, è stata un successo? Non proprio, se si pensa alle aspettative dei più poveri o a quello che immaginavano i burocrati europei. Ma le cose cambiano se osservate nel contesto regionale. La Romania e la Bulgaria sono state pesantemente colpite dalla crisi, e per di più in una cornice di grandi tensioni, se si pensa a quello che è successo in Turchia, in Ucraina e in Medio Oriente. Eppure sono rimaste democrazie liberali, con società tra le più eurottimiste dell’Unione.

Sotto il profilo economico, sociale e dello sviluppo della democrazia la Romania e la Bulgaria si sono nettamente distanziate dagli stati dell’area che non hanno aderito all’Unione. Da questo punto di vista l’adesione è stata un successo, di cui Bruxelles può andare fiera.

Romania

In piazza contro la corruzione

Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza da inizio febbraio a Bucarest e in diverse altre città della Romania per protestare contro il decreto con il quale, la notte del 31 gennaio, il governo ha depenalizzato alcuni reati di corruzione che danneggiano lo stato per somme inferiori ai 44mila euro. I dimostranti accusano il governo a guida socialdemocratica di voler assolvere i politici corrotti, a cominciare dal capo del partito, Liviu Dragnea. Il 5 febbraio il premier Sorin Grindeanu ha annunciato il ritiro del decreto e una nuova proposta di legge per regolamentare la questione. La corruzione endemica in Romania (e in Bulgaria) è il principale motivo per il quale i due paesi non sono ancora stati ammessi a far parte dell’area di libera circolazione europea di Schengen.

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