Rassegna Il Regno Unito e la Brexit

Lo zimbello d’Europa

A Bruxelles sono cominciati i negoziati sull’uscita del paese dall’Unione europea, ma il governo di Theresa May non sembra avere le idee chiare sui suoi obiettivi e su come raggiungerli, secondo vari giornalisti europei.

Pubblicato il 24 Giugno 2017 alle 20:58

È ormai evidente che i falchi della Brexit che hanno tenuto in pugno il governo britannico sin dalle dimissioni di Cameron all’indomani del referendum del 2016 non hanno un piano per gestire i negoziati al di là del mantra del “riprendiamoci il controllo”. Ora l’atteggiamento europeo verso Londra è in sospeso tra la preoccupazione e l’angoscia per l’impossibile situazione in cui il governo inglese ha messo se stesso — e il Regno Unito.

A proposito di questo cambio di passo, sul continente sono apparsi numerosi articoli negli ultimi giorni, che hanno messo in luce l’apparente dilettantismo del governo britannico: ad esempio l’implacabile articolo di Jean Quatremer sul Guardian o il pezzo spietato apparso sullo Spiegel International mostrano come l’umore in Europa sia cambiato.

L’ultimo della serie è il seguente articolo intitolato Questi sono i migliori politici che il Regno Unito possa offrire?, scritto dal corrispondente da Londra dell Süddeutsche Zeitung Christian Zaschke. È stato tradotto da Andrea Torsello a partire dalla versione inglese di Paula Kirby, che ce lo ha segnalato:

Se non fosse così seria, la situazione nel Regno Unito sarebbe quasi comica. Il paese è governato da un robot parlante, soprannominato Maybot, che in qualche modo riesce a visitare i resti del palazzo andato a fuoco nell’ovest di Londra senza a incontrare un singolo sopravvissuto o volontario accorso in aiuto. I negoziati per l’uscita del paese dall’Ue sono iniziati lunedì, ma nessuno sembra avere nemmeno un’idea di piano. Il governo dipende da un piccolo partito che accoglie negazionisti dei cambiamenti climatici e creazionisti. Boris Johnson è ministro degli esteri. Ma che cosa è successo a questo paese? Due anni fa David Cameron usciva dalle elezioni parlamentari da vincitore assoluto. Si era assicurato una maggioranza assoluta, e sembrava dunque che la carriera di questo allegro uomo insignificante si dirigesse verso vette sorprendentemente vertiginose.

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L’economia britannica cresceva più rapidamente che in ogni altro paese industrializzato al mondo. L’indipendenza della Scozia e la conseguente disintegrazione del Regno Unito erano state evitate. Per la prima volta dal 1992 c’era una maggioranza conservatrice nella camera dei Comuni. Il Regno Unito si sentiva un attore universalmente rispettato sulla scena internazionale. Questo era il punto di partenza. Per passare da questa posizione di favore al caos odierno nel più breve tempo possibile erano necessari due elementi: il primo, l’odio ossessivo verso l’Ue manifestato dalla corrente di destra dei Tory; il secondo, l’irresponsabilità dimostrata da Cameron nel legare l’intero futuro della nazione alle sorti del suo referendum, solo per soddisfare un gruppo di fanatici all’interno del suo partito.

Sta diventando ancora più chiaro quanto fosse una decisione incredibilmente sbagliata. Il fatto che il Regno Unito sia diventato lo zimbello d’Europa è direttamente legato al voto espresso sulla Brexit. Chi soffrirà di più saranno i britannici, che sono stati ingannati dai sostenitori del Leave durante la campagna, traditi e trattati come idioti da buona parte della stampa nazionale. La sfacciataggine non conosce ancora limiti: il Daily Express si è domandato seriamente se l’inferno della torre Grenfall fosse dovuto ai rivestimenti progettati per rispettare gli standard europei. È semplice scoprire che la risposta a questa domanda è “no”, ma evitando di compiere verifiche, il giornale ha insinuato il dubbio che l’Ue potesse essere colpevole anche di questo. Tra parentesi: un paese in cui alcuni mezzi d’informazione sono così manifestamente disinteressati alla verità e sfruttano un disastro come quello della Grenfell Tower per i propri fini di cattivo gusto ha un serio problema. I prezzi nei negozi stanno già aumentando, l’inflazione sta già salendo. Gli investitori si stanno tirando indietro. La crescita economica è rallentata. E questo ancor prima che i negoziati sulla Brexit siano cominciati sul serio.

Con le sue inutili elezioni anticipate, la prima ministra Theresa May ha già sprecato un ottavo del tempo a disposizione. È un mistero come si riuscirà a trovare un accordo su un’impresa complessa come la Brexit nel tempo rimanente. Alla fine, il Regno Unito si allontanerà dal suo più importante partner commerciale e si ritroverà più debole su tutti i fronti. Avrebbe senso dal punto di vista economico rimanere nel mercato unico e nell’unione doganale, ma ciò significherebbe essere vincolati a regolamenti su cui il Regno Unito non avrebbe più voce in capitolo. Sarebbe meglio rimanere dentro l’Ue e basta. Dunque ora il governo deve concepire un piano che sia politicamente accettabile e che infligga il minor danno economico possibile. È solo questione di limitare i danni, niente di più; eppure, ci sono ancora politici che si aggirano per Westminster che proclamano compiaciuti che sarà l’Ue a uscirne in una situazione peggiore se non righerà dritto.

L’Unione europea è in procinto di trattare con un governo che non ha la minima idea di quale Brexit voglia realizzare, guidato da una personalità politica priva di senso della realtà e i cui giorni sono contati, e un partito in cui si stanno riaprendo vecchie divisioni: i conservatori moderati stanno sperando di giungere a un’uscita più leggera dall’Ue, ma i sostenitori della linea dura nel partito, tra cui si incontrano vari ostinati e testardi ideologi, stanno già minacciando di scatenare una rivolta.

Ci aspetta una battaglia epica, che paralizzerà il governo. Il negoziatore capo dell’Ue Michel Barnier ha dichiarato che ora si attende che i britannici definiscano chiaramente la propria posizione, dato che non può negoziare con sé stesso. L’ironia di questa dichiarazione è che molto probabilmente in quel modo gli interessi del Regno Unito sarebbero tutelati meglio. Quanto meno in questo modo i britannici avrebbero un rappresentante dalla loro parte, consapevole della portata del compito ed effettivamente capace di concludere un accordo che vada bene a entrambe le parti. I britannici non hanno però un solo negoziatore di questo genere nei loro ranghi. E a prescindere dalla questione Brexit, sia il dibattito sia il referendum si sono dimostrati nocivi e ora cominciano a pagarne le conseguenze. La società britannica è ora più divisa che mai sin dalla guerra civile inglese del XVII secolo, una realtà che si è palesata nuovamente alle elezioni anticipate, in cui un buon 80 per cento dei voti sono stati espressi per i due partiti maggiori.

Nessun di questi due partiti offriva un programma centrista: la scelta era tra una destra radicale e una sinistra radicale. Il centro politico è stato abbandonato, e questo non è mai un buon segno. In un paese come il Regno Unito, che per tanto tempo ha goduto di una reputazione di pragmatismo e razionalità, ci sono ora motivi di preoccupazione reale. La situazione sta decisamente andando fuori controllo. Dopo la perdita dell’impero, il Regno Unito ha cercato di guadagnare un nuovo ruolo nel mondo. L’aveva finalmente trovato, come parte forte, scomoda e influente di un’unione più grande: l’Unione europea. Ora ha voluto abbandonare quel ruolo senza alcun evidente necessità. La conseguenza, come sta diventando chiaro, è un’autentica crisi d’identità, e il paese avrà bisogno di molto tempo prima di riprendersi.

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