Idee Ungheria e Polonia
People protesta against the so called "Lex-CEU" in Budapest, on 9 April 2017.

Come ti smonto la democrazia

Dopo una transizione riuscita dal comunismo alla democrazia, l'Ungheria e la Polonia stanno lentamente scivolando verso un tipo di regime autoritario alla russa, e si allontanano dai valori fondamentali europei. Una tendenza che si estende all'intera regione.

Pubblicato il 27 Aprile 2017 alle 08:06
People protesta against the so called "Lex-CEU" in Budapest, on 9 April 2017.

Il 10 aprile il presidente ungherese János Áder ha firmato la legge che permetterà al governo di Budapest di espellere dal paese la Central european university (Ceu). La norma, ribattezzata Lex Ceu, è diventata il simbolo del regime ibrido che vige in Ungheria, una democrazia che scivola sempre più verso il totalitarismo (contro la decisione del governo circa 80mila persone hanno manifestato a Budapest il 9 aprile). Quello che succede a Budapest, tuttavia, non è un fenomeno isolato, ma una tendenza che riguarda anche altri paesi dell’Europa centrorientale. Come risulta dal rapporto Nations in transit 2017 della Freedom house, in materia di istituzioni e valori democratici 18 paesi sui 29 esaminati hanno fatto passi indietro.
INon è la prima volta che si registra un arretramento della democrazia, ma è sorprendente notare che due paesi in cui la transizione era stata un successo – l’Ungheria e la Polonia – stanno facendo marcia indietro e stanno diventando regimi ibridi.
La Ceu è forse l’unica università regionale a occupare posizioni di rilievo nelle classifiche internazionali sull’istruzione superiore. È stata fondata dall’imprenditore magiaro-statunitense George Soros a New York, accreditata per la prima volta a Praga nel 1991 e poi trasferita a Budapest.

L’autoritarismo competitivo

A quanto pare il premier ungherese Viktor Orbán non scherzava quando ha definito il 2017 “l’anno della cacciata” di Soros dal paese. Oltre a “spazzare via” alcune ong finanziate dalla fondazione Open society, Orbán ha deciso di attaccare anche “l’università Soros”, come lui chiama la Ceu.
La nuova legge è stata criticata apertamente da decine di premi Nobel, centinaia di istituti di ricerca e perfino dal presidente tedesco. Eppure è stata approvata in soli cinque giorni, con un unico emendamento, secondo il quale per salvare la Ceu è necessario un accordo che andrà negoziato entro settembre dai governi dei due paesi coinvolti, Stati Uniti e Ungheria.
Attaccare una delle più prestigiose istituzioni universitarie dell’Europa centrale ha un significato profondo, e illustra bene la natura di un regime che tollera sempre meno il dibattito aperto la libera ricerca.
Potrebbe essere una coincidenza, ma una settimana prima dell’approvazione della Lex Ceu la Russia aveva revocato la licenza dell’Università europea di San Pietroburgo. L’Ungheria ha preparato anche un’altra legge copiata dalla Russia: quella che bolla le ong che ricevono finanziamenti dall’estero per almeno 24mila euro come una minaccia alla sicurezza nazionale. Questi gesti non rivelano solo il tentativo di Orbán di imitare i metodi di Putin, ma anche l’erosione del sistema di controlli e contrappesi e del principio secondo cui il governo deve rispondere dei suoi atti. L’atteggiamento di Mosca e Budapest si basa su una comune ideologia nazionalista e antioccidentale che affonda le radici nella presunta perdita di un passato glorioso (la Russia imperiale e la “grande Ungheria” di anteguerra). A differenza della Russia, però, l’Ungheria rimane un paese occidentale e democratico, membro dell’Unione europea e della Nato.
L’Ungheria di Orbán può essere inserita nella lista dei cosiddetti regimi ibridi, in cui le istituzioni democratiche e lo stato di diritto non sono distrutti ma svuotati di ogni contenuto ed efficacia. A Budapest le istituzioni democratiche esistono ancora, ma funzionano male. Dal 2010 il loro ruolo di controllo del potere si è progressivamente ridotto. Il parlamento è ormai una fabbrica di leggi dominata dal governo, che in questi anni ha intaccato l’autonomia o assunto il controllo di tutte le istituzioni che avrebbero potuto controllarne l’operato. Anche la libertà dei giornalisti è stata fortemente limitata. Per usare una definizione dei politologi Steven Levitsky e Lucan A. Way, il regime ibrido ungherese è una sorta di autoritarismo competitivo: un sistema che mantiene solo l’illusione della competizione democratica.
L’Unione europea potrebbe in teoria intervenire attivando i suoi meccanismi di tutela dello stato di diritto, ma, dopo la Brexit, è molto prudente con i paesi ribelli. La procedura, inoltre, non permette interventi concreti, come si è visto con la Polonia. Forse, invece, è il momento che il Partito popolare europeo escluda dai suoi ranghi il partito di Orbán. Tollerando il regime ibrido ungherese, infatti, rischia di creare un precedente pericoloso in un’Europa centrorientale sempre meno democratica.

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