“Non voglio morire cinese”

Gli investimenti cinesi potrebbero aiutare l'Europa a risollevarsi dalla crisi nel breve periodo, ma a lungo termine finiranno per consegnare la sua autonomia a Pechino e alla finanza internazionale.

Pubblicato il 13 Ottobre 2011 alle 14:45

Non so voi ma io non avrei nessuna voglia di morire cinese. E, per come si mettono le cose, a questo punto la probabilità è piuttosto alta.

Giusto a metà settembre, proprio mentre tutto cominciava a precipitare verso il disastro nelle regioni meridionali d’Europa, nel corso dell’annuale convegno del World Economic Forum che dal 2007 si svolge - guarda caso - in Cina (quest’anno intitolato «New Champions 2011»!) il premier Wen Jabao annunciava che la Cina avrebbe continuato ad aumentare i propri investimenti nel «vecchio» continente. Con tempismo sinistro, nei giorni precedenti erano circolate voci insistenti sulle intenzioni di acquisto massiccio da parte cinese di buoni del Tesoro italiano, avvalorate dal viaggio a Roma del presidente della China Investment Corp, uno dei più ricchi fondi d’investimento del mondo, venuto in riva al Tevere per valutare significativi investimenti in società strategiche del nostro Paese. Da allora non passa giorno senza che tutti noi ci si chieda se i cinesi ci stiano salvando o invadendo.

Nel mio caso la domanda si fa piuttosto inquietante avendo io dato alle stampe un romanzo - La seconda mezzanotte, pubblicato per decreto del fato proprio il 14 settembre mentre le agenzie di stampa battevano la notizia degli annunci di Wen Jabao - in cui si prevede che nel 2092 l’Italia diverrà un Paese satellite della Cina dopo averle ceduto il suo intero debito estero e Venezia, acquistata da una azienda transnazionale di Pechino a seguito di una terribile alluvione, verrà rifondata come Zona Politicamente Autonoma e consegnata a un destino di parco giochi per il lusso e i vizi sfrenati dei nuovi ricchi orientali. Nel mio caso, dunque, a domanda inquietante si dà risposta inquietante. Lo dico quasi con una punta di dispetto (oltre che di sconforto): se cominciare a scrivere tre anni fa un romanzo apocalittico sul futuro dell’Italia (e di tutta l’Europa mediterranea) significava essere sfrenatamente visionari, pubblicarlo oggi significa essere banalmente realisti. Sì, perché tre anni or sono, è bene non dimenticarlo, l’Italia si riconsegnava, con una maggioranza parlamentare senza precedenti, all’uomo che da trent’anni aveva fatto del falso ottimismo forzoso la lugubrebandiera della nostra autentica decadenza.

Catastrofismi letterari a parte, a me pare, però, del tutto evidente che l’avvento di una ipotetica sovranità politico-finanziaria cinese sulle nostre antiche terre precipiterebbe il declino della civiltà europea per come l’abbiamo conosciuta, sognata e amata (magari anche solo idealmente). Temo che rappresenti una grave minaccia per i fondamenti culturali della civilizzazione occidentale europea moderna: sovranità politica del popolo, libertà di pensiero e d’espressione, diritti dei lavoratori e del cittadino, autonomia dell’individuo, solidarietà tra gli individui riuniti in società, valore della persona, sicurezza alimentare, sacralità della vita. Lo temo non solo perché ho ancora negli occhi quel ragazzo che in piazza Tienanmen affrontò un tank armato solo di due flosci sacchetti della spesa (il ragazzo era anche lui cinese, non va dimenticato), o perché preveda un conflitto di civiltà tra Europa e Cina ma perché mi spaventa la deriva di un capitalismo finanziario, di cui i fondi sovrani cinesi rappresentano oggi una punta avanzata, un uso del capitale nato per finanziare il lavoro e l’impresa ma finito con l’affossarla. Se in un futuro prossimo la politica non dovesse riuscire a ripercorrere all’indietro il cammino che l’ha condotta dalla sovranità all’oscenità, il rischio è davvero che in un futuro nemmeno tanto remoto si scateni un gigantesco conflitto di interessi tra gli interessi speculativi della finanza apolide - e qui che sia cinese, americana o nostrana poco importa - e i bisogni, le legittime aspettative,le speranze di noi tutti.

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Dalla Cina

Vivere in un parco a tema

Le paure espresse da Scurati nel suo romanzo sembrano avere un'eco in Cina: "I paesi dell'Europa del sud, sommersi dai debiti, sono alle prese non con una crisi ma con una trattativa commerciale. Grecia e Italia, un tempo padrone del Mediterraneo, scivoleranno sempre di più verso la senescenza, ma saranno salvate da orde di turisti asiatici. Il modello spartano, in sostanza", scrive Asia Times, che paragona la città greca, "prima potenza mondiale a cadere vittima di un suicidio demografico ma anche la prima ex-potenza a sopravvivere sotto forma di parco a tema", ai due paesi del Mediterraneo: "gli ultimi spartani hanno continuato a ungersi i capelli, suonare i loro flauti e disporsi in falangi per la gioia dei visitatori romani fino alla fine del II secolo d.C. […] Se i turisti provenienti dall'Italia hanno tenuto in vita Sparta per cinquecento anni dopo che il suo modello politico era diventato obsoleto, i visitatori cinesi possono tranquillamente tenere a galla l'Italia per un altro secolo o due. […] Come gli spartani, i cittadini italiani sempre meno numerosi finiranno con l'abitare una nazione trasformata in un parco a tema. Venderanno pizza, organizzeranno concerti e opere, soffieranno vetro, restaureranno dipinti, disegneranno scarpe e indumenti e imbottiglieranno millesimati per le frotte di asiatici. […] Se le circostanze saranno favorevoli, i visitatori orientali potrebbero raddoppiare nel giro di pochi anni, dando all'Italia una grossa mano ad appianare il suo debito estero. Ma c'è una controindicazione: la Cina finirà col possedere gran parte del paese."

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