Non chiudiamo la porta a Kiev

Anche se la condanna a sette anni di carcere inflitta a Yulia Timoshenko solleva più di un dubbio sull’indipendenza della giustizia ucraina, l’Unione europea non deve rinunciare a dialogare con Kiev, la cui vocazione resta sicuramente europea

Pubblicato il 25 Ottobre 2011 alle 13:19

L’11 ottobre, la notizia della condanna a sette anni di carcere inflitta all’ex primo ministro ucraino Yulia Timoshenko è stata ampiamente ripresa dalla stampa europea. È probabilmente la prima volta dai tempi di quella che fu chiamata “Rivoluzione arancione” (era il 2004) che la politica interna dell’Ucraina, paese che conta 45 milioni di abitanti, tornano alla ribalta dell’attualità internazionale.

Se i governi di Unione europea e Stati Uniti hanno condannato la sentenza, la reazione della società ucraina è stata invece tiepida. Non serve a nulla incolpare il presidente Viktor Yanukovich, al potere soltanto da un anno e mezzo. Sarebbe invece più opportuno ammettere che ciò che accade oggi in Ucraina è il risultato prevedibile e assolutamente logico dell'evoluzione del paese da venti anni a questa parte.

Il fatto che il sistema giudiziario ucraino si rifaccia tuttora a quello dell’Unione Sovietica dimostra ancora una volta che Kiev ha un urgente bisogno di riforme. Se l’opinione pubblica europea ha preso coscienza della complessità della situazione in Ucraina soltanto dopo la sentenza di Timoshenko, i cittadini ucraini invece non ne sono rimasti affatto sorpresi, in quanto sono abituati a lottare contro il sistema burocratico del paese e a restare sempre sulla difensiva, a prescindere da chi governa.

Una società apatica

Le speranze che gli ucraini avevano riposto nel partito arrivato al potere dopo la Rivoluzione arancione del 2005 non si sono concretizzate. Questo ha reso la società apatica. Per due volte di seguito, le elezioni nel 2006 e nel 2007 hanno garantito la maggioranza al “partito arancione”, ma le incessanti polemiche politiche e le mancate riforme hanno finito coll’intaccare definitivamente la fiducia dei cittadini nel movimento di Timoshenko.

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Dopo tutto, l’esempio dell’Ucraina dimostra chiaramente come sia inutile e irrealistico importare dal giorno alla notte la democrazia e lo stato di diritto in un paese polticamente ancora molto arretrato, nonostante la stessa Ucraina abbia sempre dimostrato di voler adottare i principi democratici e di volersi aprire verso l'esterno. I cittadini ucraini sono certamente responsabili di questa situazione, ma questo non significa che i paesi stranieri debbano rimanere inermi di fronte alla possibile evoluzione democratica di un paese.

Se le numerose organizzazioni internazionali che hanno contribuito a promuovere le riforme nei paesi dell’Europa centrale e orientale non avessero fatto la propria parte, oggi molti di essi non farebbero parte dell’Ue. Una situazione simile l’avevamo già vista in passato, dopo la seconda guerra mondiale: il Vecchio continente non sarebbe riuscito a superare le conseguenze sociali e politiche del conflitto senza l'aiuto esterno che ha permesso la costruzione dell'Europa di oggi.

Il ruolo fondamentale dell'Estonia

Kiev aveva deciso di integrarsi nell’Europa già alla metà degli anni Novanta. Una scelta che tutti i presidenti ucraini hanno appoggiato. Ma per vent’anni l’Europa si è dimostrata restia a convergere verso est, ritenendo che l’Ucraina fosse una zona grigia, uno stato cuscinetto rispetto alla Russia. Così l’allargamento verso est è stato interrotto dalla costruzione di un nuovo muro ideologico lungo i confini dell’Ucraina.

Soltanto ora le relazioni tra Unione europea e Ucraina stanno per compiere un significativo balzo in avanti: il 20 ottobre si sono conclusi i negoziati sull'accordo di associazione tra Ue e Kiev che include l'intesa commerciale per la creazione di un'area di libero scambio entro la fine dell’anno. L'accordo è un buon viatico per impedire all’Ucraina di fare dietrofront e rimanere nell’impasse post-sovietico.

Tuttavia, alla luce della condanna di Julia Timoschenko, l’Unione Europea e l’Ucraina devono prendere una decisione: o Bruxelles abbandona i negoziati dell’adesione di Kiev all’Ue e impone sanzioni all’Ucraina, isolandola così ancora una volta e perseguendo la politica del rinvio che ha caratterizzato il suo operato fino a oggi. Oppure, per superare lo stallo, le due parti potrebbero continuare a dialogare e cercare un compromesso.

In questo contesto, un ruolo fondamentale potrà essere svolto da alcuni nuovi paesi membri dell’Ue come l’Estonia, che comprendono molto meglio le realtà ex sovietiche e la difficile fase di transizione che stanno vivendo questi paesi. Da molto tempo, Tallinn sostiene l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue. Un segnale incoraggiante in questo senso è la fondazione del Partenariato orientale, dove l’Estonia può condividere con gli altri paesi dell'est la sua esperienza europea. Questi piccoli passi in avanti, che in futuro dovranno essere sempre di più, saranno efficaci per avvicinare l’Ucraina agli altri paesi membri dell’Unione. Ogni tentativo di isolare l’Ucraina, invece, porterà a un risultato contrario. (traduzione di Anna Bissanti)

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