Mario Monti apre la prima seduta del governo. Roma, 16 novembre 2011

In difesa dei tecnocrati

La nomina di Mario Monti e Lucas Papademos ha provocato un polverone sulla stampa europea. Ma il governo degli esperti è stato per decenni una base del pensiero di sinistra, e dove è stato adottato ha spesso raggiunto risultati positivi.

Pubblicato il 17 Novembre 2011 alle 14:51
Mario Monti apre la prima seduta del governo. Roma, 16 novembre 2011

Sfogliando i giornali britannici della scorsa settimana era impossibile non notare i numerosi avvistamenti di una rara sottospecie politica: i tecnocrati. Tra loro ci sono il nuovo primo ministro italiano Mario monti e il nuovo capo del governo greco, Lucas Papademos. Secondo i giornali i due sono stati catapultati al vertice della politica dei loro paesi con il solo scopo di mettere in pratica i diktat dei loro "padroni" tedeschi e francesi.

La parola "tecnocrazia" deriva dal greco: "techne" significa "abilità", mentre "kratos" vuol dire "potere". Per definizione un tecnocrate è un individuo che promette di "risolvere i problemi", che prende le sue decisioni in base alla propria esperienza e alla sua conoscenza specialistica di un argomento anziché piegarsi agli interessi di un gruppo o di un partito.

Il neologismo viene fatto risalire al 1919 e attribuito all'ingegner William H. Smyth di Berkeley, California. L'idea che un paese dovrebbe essere organizzato e guidato non dalla chiesa, dai proprietari terrieri o dai militari ma dagli industriali e dagli uomini di scienza è invece più antica, e risale a uno dei primi pensatori socialisti, Saint Simon. Un tempo la tecnocrazia era un cavallo di battaglia della sinistra internazionale. Nell'America degli anni trenta, per esempio, era il concetto basilare del progetto di una nuova utopia sociale.

Nei decenni successivi la tecnocrazia ha però guadagnato una reputazione poco raccomandabile. La venerazione del progresso industriale e l'impunità dei burocrati sono diventate il marchio di fabbrica dei regimi totalitari nella Germania nazista e in Unione Sovietica. George Orwell descrive la tecnocrazia come un precursore del fascismo. D'altronde, cos'era Adolf Eichmann se non un tecnocrate?

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In molti paesi europei la parola "tecnocrate" ha ancora connotazioni positive. Negli anni cinquanta Jean Monnet era convinto che la crescita avesse bisogno di esperienza tecnica piuttosto che di partiti politici. Oggi le piccole democrazie come i Paesi Bassi affidano spesso ai tecnocrati il ruolo di mediatori nel dialogo tra i partiti di una coalizione instabile o tra impiegati e datori di lavoro. Il Belgio, che per più di 17 mesi è rimasto senza un governo, è il paradiso dei tecnocrati, e anche grazie a loro è riuscito (finora) ad affrontare la crisi in modo egregio. Negli stati dell'ex blocco comunista dell'Europa centrale e orientale, i tecnocrati hanno avuto un ruolo di primo piano nella transizione dall'autoritarismo alla democrazia.

Kevin Featherstone, professore di politica europea alla London School of Economics, è convinto che "attualmente in Europa ci sono meno tecnocrati al potere rispetto agli anni novanta". In Italia quello di Mario Monti non è il primo governo tecnico: nel 1992 Giuliano Amato, professore di diritto, fu nominato primo ministro dopo l'espulsione dell'Italia dal Sistema monetario europeo, e in seguito anche l'ex segretario della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi e l'economista Lamberto Dini sono stati chiamati dal presidente della repubblica a guidare il processo di riforma del paese.

La situazione in Grecia è diversa, ma nel 1989-90 anche nella penisola ellenica Xenophon Zolotas è stato presidente ad interim senza essere stato eletto. Nel panorama Europeo il Regno Unito potrebbe essere dunque l'eccezione, anche se negli anni sessanta il Labour ha brevemente flirtato con la tecnocrazia.

Politici senza trucco

La tecnocrazia è meglio della democrazia? Naturalmente no. Ciononostante non è scandaloso sostenere che un breve ricorso ai governi tecnici può essere accettabile – e a volte necessario – in periodi di crisi. Personalmente penso che sarebbe meglio che il sistema sanitario britannico fosse gestito da tecnocrati (leggasi "esperti") e non da politici e ideologi del libero mercato. Così come sono convinto che che i britannici si fiderebbero di più dei membri del governo se la maggior parte di essi non fosse passata direttamente dall'università alla politica.

Probabilmente i "tecnici" non saranno mai completamente apolitici, ma sono comunque meno politici di chi è entrato in politica per diventare un politico. E se i tecnocrati non fossero altro che politici senza carisma e senza un team di esperti a curarne l'immagine? "In politica la mediocrità non è un elemento disprezzabile", scriveva il tedesco (ed euroscettico) Hans Magnus Enzensberger. "La grandezza non è necessaria".

Con tutto questo ragionamento non voglio dire che nell'eurozona le cose vadano bene così come sono. Oggi l'Unione europea, oltre alle conseguenze della crisi finanziaria, deve affrontare anche un grosso problema di immagine. Inoltre Angela Merkel ha fallito clamorosamente nella sua missione di risolvere la crisi, e ai cittadini greci e italiani dovrà essere consentito di eleggere un nuovo governo non appena si saranno calmate le acque.

Il Regno Unito, dal canto suo, fa bene a rifiutare il mantra del "più Europa". Ma è anche vero che forse dovremmo cercare di capire le differenze tra il nostro approccio politico e quello del continente, prima di affrettarci a dare consigli. (traduzione di Andrea Sparacino)

Commento

La democrazia in stand-by

"Non abbiamo bisogno di elezioni, ma di riforme", ha dichiarato la settimana scorsa il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy durante la cerimonia di apertura dell'anno accademico all'Istituto universitario europeo di Firenze, parlando della crisi dell'eurozona e del problematico panorama italiano. "Una frase dura", commenta su De Standaard Hendrik Vos, politologo dell'università belga di Gent.

"Quando una frase del genere viene pronunciata da un leader africano, di solito le reazioni indignate dell'Unione europea non si fanno attendere più di cinque minuti. Gli europei puntano l'indice e si affrettano a impartire una lezione sulla democrazia e sul valore della consultazione elettorale (…). Se Van Roumpy rilascia una dichiarazione che potremmo associare a un qualsiasi leader corrotto di una repubblica delle banane, significa che la situazione in cui si è cacciata l'Europa è davvero seria".

Vos non è affatto convinto delle competenze dei nuovi governi tecnici in Italia e Grecia:

"La verità è che oggi in Europa la democrazia è stata messa in stand-by. I leader europei ammettono che è un peccato, ma sostengono che per il momento non ci sono alternative. […] Il problema è che non è detto che i leader abbiano ben chiara la situazione. Non esiste una sceneggiatura per la crisi […]. Non soltanto i problemi sono complessi, ma gli economisti (ovvero le persone di cui dovremmo fidarci) si contraddicono l'un l'altro. […] Alcuni sostengono che il collasso dell'euro potrebbe al massimo generare un piccolo scompiglio nel mondo dell'economia, mentre altri profetizzano un ritorno all'età della pietra. E così la cancelliera e tutti i primi ministri e presidenti d'Europa si trovano davanti a un dilemma: di quale economista si devono fidare?"

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