Pozarevac (Serbia): le vincitrici del concorso "Miss partigiana 2005". (Afp)

La Jugonostalgia ha un futuro

Separati dalle guerre degli novanta, i popoli dell'ex Jugoslavia non hanno mai completamente rotto i legami culturali fra di loro. Oggi, spinti dall'Europa, i responsabili politici cominciano anche loro a seguire questa tendenza.

Pubblicato il 22 Ottobre 2009 alle 14:47
Pozarevac (Serbia): le vincitrici del concorso "Miss partigiana 2005". (Afp)

Nel 1999, alla Fiera internazionale del libro di Francoforte, lo stand con la scritta "Gruppo 99" aveva suscitato la curiosità dei visitatori. Sotto il loro cartello infatti si vedevano insieme gli scrittori dell'ex Jugoslavia. Dieci anni dopo i pompieri dei due lati dei confini spengono insieme gli incendi e gli imprenditori fanno affari transfrontalieri. Siamo di fronte a una rinascita della Jugoslavia, o almeno a una "jugonostalgia"?

Per molti la guerra in Jugoslavia ha significato non solo la perdita dei parenti o degli averi, ma anche dell'identità. È quello che è successo a tutte le persone che si definivano "jugoslave" agli inizi degli anni novanta, cosa non rara all'epoca. Si tratta prima di tutto delle coppie miste che hanno avuto grande difficoltà a trovare un posto tra le nuove frontiere. Una parte di loro ha scelto l'emigrazione, come la celebre scrittrice e saggista bulgaro-croata Dubravka Ugrešić. Definita la "strega di Zagabria" per la sua critica del nazionalismo del primo presidente della Croazia Franjo Tudjman, si è presto ritrovata ai margini della vita sociale croata. Dopo molti problemi, la donna ha finito per lasciare il paese e da qualche anno insegna ad Amsterdam.

Tito è ancora popolare

La nozione di "jugonostalgia", lanciata da Ugrešić e vista in modo negativo verso la metà degli anni novanta, gode oggi di una certa popolarità. Questa moda è visibile in tutte le ex repubbliche. Sui muri delle case di Belgrado si può leggere "Tito torna, ti perdoneremo tutto", anche se non è in Serbia ma in Bosnia-Erzegovina che l'amore per il maresciallo è più grande. In questi ultimi anni nella regione sono usciti almeno tre film su Tito, due serbi e uno croato.

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Per cicatrizzare le ferite della guerra serviranno ancora molti anni. Ma già adesso si assiste a una moltiplicazione di gesti politici che possono favorire il riavvicinamento. Come per esempio le parole del presidente serbo Boris Tadić, che ha chiesto perdono ai croati per i crimini di guerra. La Serbia ha espresso una posizione simile anche per i crimini commessi in Bosnia-Erzegovina. Inoltre la riconciliazione è favorita dalla cooperazione con il tribunale dell'Aia. Consegnando i loro criminali di guerra, spesso considerati eroi nei rispettivi paesi (per esempio il generale croato Ante Gotovina o l'ex presidente serbo Slobodan Milosevic), Belgrado, Zagabria e Sarajevo superano gli ostacoli che ingombrano la strada verso la riconciliazione.

"Dovete cooperare"

La cooperazione fra Belgrado e Zagabria è sempre più intensa e da qualche tempo lo è anche tra la Serbia e la Macedonia. Neanche la secessione del Montenegro ha indebolito i legami tradizionali fra Belgrado e Podgorica. Fra i paesi dell'ex Jugoslavia sono Croazia e Slovenia ad avere i rapporti più tesi, a causa di una disputa frontaliera che ha bloccato i negoziati sull'adesione fra Zagabria e Bruxelles. In occasione delle discussioni bilaterali con i dirigenti della regione, i diplomatici europei ribadiscono chiaramente la necessità di cooperare, altrimenti l'adesione all'Unione sarà impossibile.

In compenso, in campo culturale tutto sembra già possibile. Anche nei tempi più bui della guerra, gli abitanti dell'ex Jugoslavia ascoltavano la stessa musica. Svetlana "Ceca" Ražnatović, grande star serba del turbofolk (un misto di esplosivi motivi musicali dei Balcani) e vedova del criminale di guerra Zeljko "Arkan" Ražnatović, è l'esempio più curioso di questa tendenza. In Bosnia centinaia di migliaia di dischi di Ceca sono stati venduti mentre la milizia di Arkan compiva le atrocità più efferate.

Una strada che passa per l'Europa

Goran Bregović è un simbolo molto meno controverso di questa riconciliazione. Nato a Sarajevo, questo artista per metà croato e per metà serbo (la madre è una musulmana bosniaca) è stato durante gli anni gloriosi della Jugoslavia il leader del celebre gruppo Bijelo Dugme ("Bottone bianco"). Qualche anno fa i suoi musicisti si sono rimessi insieme e hanno effettuato una tournée trionfale in tutte le ex repubbliche. A sua volta il festival culturale Exit di Novi Sad in Serbia riunisce ogni anno migliaia di giovani di tutta l'ex Jugoslavia.

Ma è soprattutto all'estero che questa familiarità è più visibile. A Bruxelles, a Parigi o a Varsavia i ristoranti balcanici riuniscono tutti gli ex jugoslavi. A Bruxelles durante le conferenze stampa i giornalisti dei paesi dell'ex Jugoslavia si presentano sempre insieme. Anche se è ancora abbozzata, la strada verso la riconciliazione "ex jugoslava" passa attraverso l'Europa.

SERBIA-KOSOVO

Riconciliazione a piccoli passi

La strada verso la riconciliazione dei popoli dell'ex Jugoslavia sembra ancora lunga, secondo quanto afferma Trouw. Il quotidiano olandese ha intervistato due studenti universitari - uno kosovaro, l'altro serbo - e ha concluso che, nonostante la loro volontà di riconciliazione, hanno "opinioni molto diverse su argomenti delicati come il nazionalismo, la guerra del Kosovo e i crimini contro l'umanità commessi nell'ex Jugoslavia". Il serbo Naim Leo Besiri (22 anni) e il kosovaro albanese Vigan Limani (18 anni) partecipano a un programma olandese di scambio che ha lo scopo di favorire l'intesa fra le due comunità e di trasmettere conoscenze sulla loro storia reciproca e sull'Europa. Vigan spiega di aver voluto partecipare al programma perché voleva sapere qual era "l'atteggiamento dei giovani serbi della sua età rispetto al Kosovo. Non sapevamo niente gli uni degli altri, ma in ogni modo abbiamo una lunga storia in comune". Naim invece vorrebbe "aprire un varco nel nazionalismo che indottrina gli studenti" serbi nelle scuole, per spingerli "a porre delle domande critiche ai loro insegnanti e ai loro genitori".

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