Non diamoci per vinti

A guardarla da un punto di vista prettamente economico, sembra proprio che l'occidente stia per cedere il passo all'oriente. Ma altri fattori, come la capacità di adattamento dei nostri sistemi, smentiscono questo diffuso pessimismo.

Pubblicato il 5 Dicembre 2011 alle 16:52

Il 2011 ha tutte le carte in regola per entrare nella storia con la definizione di annus horribilis, senza contare che Stati Uniti ed Europa rischiano di soccombere sotto il loro indebitamento: ormai sono considerati i bambini difficili dell’economia mondiale, e i capitalisti di stato cinesi, i diplomatici di Singapore e gli economisti indiani stanno impartendo loro una bella lezione. Non deve stupire, di conseguenza, che numerosi osservatori attenti all’aria che tira presagiscano la fine di quattro secoli di predominio occidentale e il sorgere di una nuova epoca a partire dall’Estremo Oriente.

Anche l’atteggiamento del presidente degli Stati Uniti conferma questa visione: Obama vuole che il suo paese metta ordine nell’economia nazionale prima di lanciarsi in nuovi interventi all’estero. Quando perfino l’uomo più potente del mondo ritiene che Washington abbia mirato troppo in alto, si può concordare con lo storico Paul Kennedy, secondo cui l’America soffrirebbe di “imperialismo esagerato” (Ascesa e declino delle grandi potenze, 1987).

Kennedy tuttavia fece la sua previsione poco prima della fine della Guerra fredda, e non seppe prevedere non soltanto il progresso planetario della democrazia, ma neanche l'imminente caduta del comunismo sovietico. Si potrebbe immaginare che in seguito abbia usato toni più sfumati. Invece ora prevede un nuovo spartiacque, in cui l’occidente perderà inesorabilmente la propria supremazia.

Secondo Kennedy i fattori economici contano più della potenza delle idee e dei “grand’uomini”, ma i suoi criteri non sono buoni per valutare il declino di una potenza ìmondiale. Più importante è constatare come reagiscano i sistemi politici quando attraversano le crisi e affrontano sfide con le quali non si sono mai cimentati in precedenza.

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Se negli anni ottanta la leadership sovietica non si fosse decisa da sola a gettare la spugna, forse il muro di Berlino sarebbe ancora in piedi. Se Ronald Reagan e Margareth Thatcher non si fossero opposti a partire dal 1980 all'influenza sovietica, il Cremlino forse avrebbe persistito nella sua politica della forza. La questione di sapere per quale motivo i riformatori politici di Mosca si sono piegati, a differenza dei riformatori economici di Pechino, resterà un argomento di indagine storica, e mostra in che modo alcuni aspetti tanto irrazionali quanto la determinazione e la fede nella propria causa giochino effettivamente un ruolo concreto.

Se parliamo di sperimentare e innovare, è troppo presto per mettere una croce sull’Europa: tenendo conto dell’introduzione dell’euro e dell’allargamento a est dell’Ue, nessun altro continente ha vissuto una simile trasformazione nel corso dell’ultimo decennio, ed è logico che questo cambiamento comporti qualche errore e sia ora messo alla prova. Resta in ogni caso meritevole d’attenzione il fatto che l’euro è stato introdotto come programmato e che la zona euro non si sia scissa malgrado la complessa problematica degli indebitamenti, la cui portata non era stata prevista se non da poche persone.

Terreno inesplorato

L’Europa dispone di un potere politico di gran lunga più forte di quello che si suppone in genere. Io credo che l’attuale crisi, a causa di tutti i grovigli finanziari che si sono venuti a creare, porterà a una (involontaria) solidarietà europea che non abbiamo mai sperimentato in passato e che sarà difficilmente reversibile.

I leader europei come Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, al pari della Banca centrale europea, pur dovendo improvvisare dimostrano di avere un’impressionante capacità di apprendere come procedere in un terreno ancora inesplorato. Penso che si possano giudicare i politici soltanto quando si trovano con i piedi nella melma, come in questo preciso momento.

Certo, può anche darsi che vada a finire male. Anche la cooperazione atlantica ha conosciuto giorni migliori. Ma in oriente meccanismi di pacificazione all’europea di questo tipo non esistono proprio. E se è vero che l’Asia, da sempre tormentata da ogni genere di catastrofe, non si è ancora cimentata in tema di autonomia sul lungo periodo, è anche vero che ha il futuro davanti, ma si svilupperà nell’ambito di un’economia mondiale improntata alle idee occidentali. Si dovrebbe essere davvero molto disfattisti per continuare a credere nel declino dell’occidente.

Traduzione dal francese: Anna Bissanti

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