La Torre di Babele di Marta Minujin, Buenos Aires

L’anno del traduttore

Grazie al successo dei romanzi di Stieg Larsson e Haruki Murakami, la letteratura tradotta sta attraversando il momento migliore degli ultimi 30 anni. Ma riusciremo mai a trovare il graal della fedeltà assoluta? 

Pubblicato il 28 Dicembre 2011 alle 11:00
La Torre di Babele di Marta Minujin, Buenos Aires

Il capitolo 11 della Genesi ci racconta che un tempo "tutta la terra parlava la stessa lingua e usava le stesse parole". Dopo la fine del diluvio universale i sopravvissuti decisero di celebrare la loro buona stella secondo la tradizione, ovvero costruendo un edificio monumentale. "Orsù, facciamo dei mattoni e cuociamoli col fuoco!", esclamavano i figli di Noé. "Facciamoci un nome, per non essere dispersi sulla faccia di tutta la terra".

Ma le cose non andarono esattamente come speravano. Secondo l'Antico testamento all'Onnipotente l'idea di creare una società unita non piacque neanche un po'. E così il desiderio demiurgico dell'uomo andò incontro all'inevitabile fallimento, e il sogno di Babele si concluse nel giorno in cui "l'Eterno colà confuse la lingua di tutta la terra." Tanto per essere sicuri, l'Altissimo "disperse sulla faccia di tutta la terra" quegli uomini che ormai non riuscivano più a capirsi tra loro.

Oggi, all'inizio del XXI secolo, nel mondo si parlano più di cinquemila lingue differenti. Ma il sogno di una lingua universale è ancora vivo, e le prospettive non sono mai state così incoraggianti: il 2011 è stato un anno straordinario per l'arte della traduzione. Viene da chiedersi se siamo davvero pronti a ricostruire la torre di Babele.

Oggi numerosi linguisti accettano la rivoluzionaria teoria del filosofo Noam Chomsky, secondo cui nonostante i vocabolari diversi "i terrestri parlano un'unica lingua", e un marziano in visita sul pianeta Terra se ne accorgerebbe immediatamente. Secondo Chomsky siamo probabilmente più vicini che mai a rendere questo "linguaggio unico" intellegibile per tutti.

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Grazie alla forza dei mezzi di comunicazione internazionali, il mercato della letteratura tradotta è in continua crescita. La lingua di riferimento è l'inglese, britannico o americano. C'è da dire che volte le traduzioni somigliano all'originale quanto il lato sbagliato di un tappeto persiano, ma i lettori non sembrano farci troppo caso.

Recentemente negli Stati Uniti la passione per la "narrativa straniera" – la trilogia Millennium di Stig Larsson o 1Q84 di Haruki Murakami – è cresciuta al punto tale da diventare una moda, regalando un nuovo pubblico alle stelle della letteratura internazionale come Umberto Eco, Roberto Bolaño e Péter Nádas.

Gli scrittori stranieri non riscuotevano un successo simile in America dagli anni ottanta, quando i romanzi di Milan Kundera, Gabriel García Márquez e Mario Vargas Llosa erano costantemente in cima alle classifiche di vendita. Oggi il mercato è più che mai aperto alla letteratura tradotta.

Le nuove edizioni [in inglese] di Guerra e Pace, Madame Bovary o La ricerca del tempo perduto hanno portato alla ribalta i traduttori, creature per natura particolarmente timide. In autunno David Bellos ha pubblicato "Is That A Fish In Your Ear? Translation and the Meaning of Everything" (C'è un pesce nel tuo orecchio? La traduzione e il significato di tutto), nel quale si legge che in Giappone i "traduttori sono vere e proprie stelle" ed esiste persino un libro di gossip esclusivamente dedicato a loro, "Le vite dei traduttori, l'Abc".

Lo strabiliante aumento dei lettori mondiali di narrativa è stato innescato dal complesso rapporto tra la rivoluzione informatica e le manifestazioni tradizionali della promozione letteraria come l'Orange Prize o il Man Booker Prize, rivitalizzati dai media sociali. Ma il boom non sarebbe mai stato possibile senza un altro fenomeno cruciale: secondo il British Council circa la metà della popolazione mondiale (ovvero 3,5 miliardi di individui) possiede quantomeno "nozioni basilari di inglese". Per la prima volta nella storia dell'umanità, insomma, una lingua può essere trasmessa praticamente in tutto il mondo.

Questo fenomeno linguistico senza precedenti è alimentato dalla potenza dei mezzi d'informazione. Lindsey Hilsum, responsabile per l'estero dell'emittente Channel 4 News, racconta un aneddoto interessante: una volta, chiedendo il significato di alcuni graffiti in arabo su un muro di Tripoli, le è stata offerta una traduzione sorprendentemente inter-culturale: "Gheddafi, sei l'anello debole, sei fuori" (riferimento alla trasmissione televisiva L'anello debole, trasmessa originariamente dalla BBC e condotta da Anne Robinson).

Con l'espandersi degli orizzonti linguistico-letterari non sorprende che Google abbia conquistato un ruolo di primo piano in quella che è ormai una rivoluzione nelle tecniche di traduzione. La soluzione offerta dall'azienda della Silicon Valley a un problema che da sempre affligge l'umanità è un computer in grado di avvicinarsi al sacro graal dell'intelligenza artificiale, che può tradurre "il linguaggio naturale".

I precedenti approcci alla traduzione automatica erano basati sul processo di scissione e ricostruzione di una lingua, con risultati spesso comici ("kindergarten" diventava "giardino dei bambini", per esempio). Secondo Bellos si trattava di "una ricerca senza speranze del linguaggio puramente ipotetico utilizzato da tutti gli abitanti del mondo nel profondo della loro coscienza".

L’enigma della salsiccia

Google Translator è in grado di fare qualcosa di molti diverso. In un certo senso segue un concetto d'ispirazione wittgensteiniana: "Non domandarti quale sia il significato, chiediti l'uso". Il programma cerca nei suoi sconfinati archivi di materiale tradotto, e usa il calcolo delle probabilità per individuare il significato più verosimile basandosi sul contesto. Per riuscire nell'impresa Google Translator si serva di un database di milioni di parole estratte dal corpus di documenti delle Nazioni unite, dai romanzi di Harry Potter, dalle agenzie di stampa e dai memorandum aziendali.

È probabile che il sogno di una lingua universale dipenda da una traduzione perfetta. Lasciando da parte la morale contenuta nell'episodio della Torre di Babele, la storia stessa della Bibbia e delle sue diverse versioni offre spunti molto interessanti, specialmente in un anno in cui si celebrano i 400 anni della sua più celebre traduzione in inglese, la Bibbia di Re Giacomo. È davvero possibile scrivere una traduzione ideale e definitiva di un'opera? Ogni versione non è forse irrimediabilmente segnata dal contesto sociale e culturale in cui si muove il traduttore?

Il destino delle diverse traduzioni della Bibbia in inglese testimonia la difficoltà di tradurre un testo in una lingua in continua evoluzione. I sostenitori della Bibbia di Re Giacomo, scritta all'epoca di Donne e Shakespeare, inorridiscono quando "strips of cloth" si trasforma in "swaddling clothes", o quando "noisy gongs" sostituisce "sounding brass". A volte la traduzione moderna produce effetti involontariamente comici. La New English Bible, per esempio, sostituisce "sheep's clothing" ("in vesti di pecora") con una definizione che sembra uscita da un film dei Monthy Python: "men dressed up as sheep" ("uomini vestiti da pecore").

In definitiva, nonostante l'annata particolarmente proficua per i traduttori e il proliferare delle innovazioni tecnologiche nel campo della comunicazione, non ci siamo ancora lasciati alle spalle gli eterni dilemmi linguistici di Wittgenstein. E per quante che siano le lingue comprese da Google translation, il programma non è ancora in grado di capire se con "hot dog" si parla di cani o di salsiccie.

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