"Calmiamoci! Qualcuno deve pur essere il primo..."

Salviamo l’euro, cacciamo la Germania

La vera minaccia alla sopravvivenza dell'unione monetaria non sono i debiti dei paesi mediterranei, ma l'intransigenza di Berlino. Il resto d'Europa dovrebbe allearsi per sbarazzarsene.

Pubblicato il 27 Gennaio 2012 alle 13:54
"Calmiamoci! Qualcuno deve pur essere il primo..."

Il mondo segue con apprensione, paura e fascinazione le indagini in Italia sulle cause di un naufragio decisamente evitabile. Nel frattempo si va chiarendo la causa di un insuccesso molto più grave.

Mentre la Grecia si avvicina al default, mentre Francia, Italia e Spagna subiscono il declassamento del rating, mentre i negoziati del mese scorso sul trattato fiscale si arenano, l’euro si avvicina pericolosamente agli scogli trascinato da una forza sempre più evidente. La vera causa del disastro dell’euro non è la Francia, non è l’Italia, e neppure la Grecia: è la Germania.

Il problema di fondo non sta nell’efficienza dell’economia tedesca, quantunque essa abbia contribuito allo squilibrio delle fortune economiche, bensì nel comportamento della classe politica tedesca e dei banchieri centrali.

Non soltanto il governo tedesco si è sistematicamente opposto alle uniche misure che avrebbero potuto riportare la crisi dell’euro sotto controllo – garanzie europee congiunte per i debiti nazionali e interventi su vasta scala da parte della Banca centrale europea – ma è anche responsabile di quasi tutte le sconsiderate politiche attuate dalla zona euro, dal folle aumento del tasso di interesse applicato l’anno scorso dalla Bce alle eccessive pretese in fatto di austerity e di perdite per le banche che adesso rischiano di esporre la Grecia a un caotico default.

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Mario Monti, il primo ministro italiano nominato da Berlino, è stato esplicito: ha chiaramente messo in guardia che la Germania potrebbe subire un “forte contraccolpo” se continuasse a bocciare i provvedimenti in grado di alleviare le pressioni finanziarie a cui sono soggetti gli altri membri della zona euro, per esempio l’emissione di eurobond con garanzie congiunte. Nel frattempo, molti degli economisti più importanti, degli ex banchieri centrali e dei massimi esponenti dell’imprenditoria caldeggiano vivamente il ritiro dall’euro partendo dal presupposto che le politiche tedesche siano incompatibili con quelle di altri paesi membri.

La nascente consapevolezza che il vero "diverso" della zona euro è la Germania rende più facile comprendere la sconcertante altalena della crisi dell’euro e come possa andare a finire. Come gli euroscettici sostengono dai primi anni novanta, in fin dei conti ci sono soltanto due possibili conclusioni per il progetto della valuta unica. O l’euro si disintegra, oppure la zona euro si trasforma in una federazione fiscale e in una unione politica.

Di questa dicotomia si è ormai pienamente consapevoli. C’è da chiedersi, tuttavia, che cosa si intenda esattamente con la definizione di “federazione fiscale”. Ed è questa l’origine della responsabilità tedesca nella crisi attuale.

La sopravvivenza dell’euro dipende da tre condizioni. La prima, su cui la Germania continua a insistere, è l’imposizione della disciplina di bilancio, che può essere fatta rispettare soltanto dal controllo centralizzato dell’Ue sulle politiche fiscali e di spesa dei governi nazionali.

La seconda è una responsabilità europea congiunta per i debiti dei governi nazionali e le garanzie bancarie. Questo supporto reciproco di fatto costituisce l’altra faccia della medaglia del federalismo fiscale, come ha detto chiaramente Monti, ma è un quid pro quo che i tedeschi si sono costantemente rifiutati perfino di discutere.

La terza condizione è l'aiuto della Bce alla federazione fiscale, equiparabile all’aiuto monetario fornito dalle banche centrali ai mercati pubblici indebitati di Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, Svizzera e tutte le altre economie avanzate. È proprio in ragione di questo aiuto delle banche centrali ai mercati dei bond pubblici che Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone sono riusciti a finanziare deficit molto più grandi di Francia e Italia senza temere un downgrade del credito.

Bivio storico

Il problema fondamentale della zona euro è che la Germania si concentra interamente sulla prima condizione, costringendo gli altri governi ad adottare misure di austerità draconiane e irrealistiche e rifiutandosi di discutere sulle garanzie congiunte del debito e l’intervento delle banche centrali. A causa dell’intransigenza della Germania su queste due questioni, il nuovo trattato sull’euro approvato il mese scorso è come uno sgabello a tre gambe che si regge su una soltanto.

Ciò premesso, dobbiamo desumere che l’euro è destinato a disintegrarsi? Non necessariamente, e per due ragioni opposte. L’alternativa più ottimistica considera che l’insensato “trattato fiscale” del mese scorso fosse di fatto un semplice diversivo nell’attesa che Angela Merkel preparasse l’opinione politica e pubblica tedesca a compromessi da stabilire in futuro sulle garanzie congiunge del debito, mentre la Bce si impegna in un alleggerimento quantitativo in stile anglosassone.

Secondo l’alternativa più pessimistica, invece, la Germania sarebbe effettivamente determinata a scongiurare l'alleggerimento monetario e fiscale che è l'unica chance di salvezza dell’euro. In questo caso gli altri membri della zona euro si troveranno presto davanti a una scelta storica: dovranno lasciare l’euro o espellerne la Germania? E nel secondo caso, dovranno farlo limitandosi a chiederle di andarsene oppure, come è più verosimile, accordandosi tra loro per una strategia monetaria e fiscale che provochi la Germania al punto che sia essa a scegliere di andarsene?

Francia, Italia, Spagna e i loro partner della zona euro hanno i mezzi per salvare l’euro, e così facendo sottrarsi all’egemonia economia tedesca.

L’unica domanda irrisolta è se hanno abbastanza fiducia in loro stessi e la consapevolezza economica di volersi coalizzare contro la Germania.

In ogni caso, per i leader europei si avvicina il momento in cui dovranno smettere di addebitare la crisi dell’euro all’economia mondiale, alle banche o agli sprechi dei governi precedenti. Come scrisse Shakespeare “La colpa, caro Bruto, non è delle nostre stelle, ma di noi stessi, che siamo dei subalterni”.

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