Parliamo di Breivik

Lo spettacolo basato sul manifesto dell'autore della strage di Utøya ha scatenato accese polemiche. Ma secondo il direttore del teatro che lo ha messo in scena riflettere sull'orrore può evitare che si ripeta.

Pubblicato il 27 Gennaio 2012 alle 14:53

La decisione del CaféTeatret di rappresentare la pièce Manifest 2083 ha suscitato rabbia e indignazione. Siamo stati accusati di fare il gioco di Anders Behring Breivik e di mostrarci insensibili verso i parenti delle vittime. Numerosi uomini politici hanno espresso il loro sdegno.

Queste reazioni ci hanno ovviamente colpito. La tragedia di Utøya [22 luglio 2011] è probabilmente il più terribile episodio che si sia mai verificato in Scandinavia. Questo crimine inconcepibile non solo è costato la vita a 77 persone, ma ha anche distrutto la vita dei loro parenti e amici. So che le famiglie sono provano un dolore che noi, che non siamo stati direttamente colpiti, non possiamo comprendere. Posso solo sperare che tutte queste persone avranno abbastanza forza d'animo, amici e aiuto per superare un giorno questo dolore.

Ma noi altri cosa possiamo fare? Noi che non siamo né parenti né norvegesi, che siamo estranei ma che al tempo stesso ci sentiamo toccati? Cosa dobbiamo fare con la nostra rabbia, con il nostro dolore, con la nostra frustrazione e con la nostra domanda: come è potuto succedere? Nella nostra cultura, cosa può spingere un uomo dalle apparenze piuttosto normali come Breivik a un gesto deliberato e calcolato? Quale può essere il suo modo di pensare e la sua visione dell'uomo, e da dove proviene?

Diversi scrittori, giornalisti ed esperti hanno esaminato e cercato di rispondere a questi interrogativi basandosi sul suo manifesto di 1.518 pagine. Ne hanno tutto il diritto. Perché allora il teatro, attraverso la lettura del manifesto di Breivik e con l'ausilio degli strumenti critici e analitici dell'arte teatrale, non può porsi gli stessi interrogativi? La missione dell'arte non è forse quella di capire come un atto così atroce abbia potuto essere compiuto? Uno spazio collettivo come il teatro non è il luogo che più si addice a questo compito?

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Capisco che i parenti che vengono a sapere che un "controverso" drammaturgo metterà in scena il manifesto di Breivik reagiscano arrabbiati. Ma mi lascia perplesso che queste persone vengano a sapere del mio progetto da giornalisti in caccia di un buon articolo. Trovo invece preoccupante che così tante personalità politiche provino il bisogno di reagire a qualcosa che non conoscono.

In diverse occasioni Pia Kjærsgaard, leader del Partito del popolo danese [estrema destra], ha definito il progetto "vergognoso". Ma questo partito e il suo programma politico sono citati diverse volte nel manifesto e Kjærsgaard, anche se in modo involontario, fa parte dell'universo di Breivik, e dovrebbe avere voglia di capire il funzionamento dei processi di radicalizzazione.

Una delle ragioni che rende il manifesto di Breivik inquietante, e che spiega forse perché ha agito in questo modo, è il fatto di non essere stato contraddetto. Perché una parte dei suoi preparativi è stata proprio quella di nascondere le sue intenzioni e di non esprimersi, tacendo i suoi pensieri e i suoi progetti omicidi. Non penso quindi che sia giusto mettere tutto a tacere, al contrario ritengo che bisogna parlarne.

I terroristi del futuro

Da quando abbiamo avviato il progetto, siamo stati in contatto con studiosi della destra radicale, e diversi di loro parteciperanno ai seminari che organizzeremo in occasione della rappresentazione. L'obiettivo infatti è quello di acquisire delle conoscenze e di condividerle. Non vogliamo in alcun modo farci portavoce di Breivik. Al contrario, la nostra è un'opera critica e soggettiva che vuole illustrare un modo di pensare che non è solo di Breivik.

In tutta Europa sono apparsi gruppi di estrema destra, ed è nostro dovere – per noi stessi, per la nostra democrazia e per i nostri cittadini musulmani – studiare l'ideologia xenofoba che è alla base dell'azione di Breivik. È nostro dovere affermare che questa tragedia, lungi dall'essere l'opera di un pazzo, è un atto politico. Se giriamo le spalle e non parliamo più del manifesto di Breivik, come ha proposto un politico danese, perderemo qualunque opportunità di capire e quindi di prendere le distanze e di cercare di impedire che una cosa del genere si ripeta.

La scelta dei tempi forse non è la migliore, l'evento è ancora troppo recente. Ma è difficile stabilire quale sarà il momento giusto e chi deve dirlo. Di conseguenza mi è sembrato necessario cominciare la lettura del manifesto 2038 per capire meglio con quale nuova forma di terrorismo rischiamo di dover fare i conti in futuro.

Non credo che possiamo aspettare anni per affrontare il nuovo terrorismo. Non dobbiamo forse pensare ai nostri amici e parenti, che domani potrebbero diventare le vittime di una nuova tragedia?

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