Manifestazione davanti alla borsa di Lubiana, 15 ottobre 2011

Lubiana sente la crisi

Dopo essere stato per anni un modello della transizione al capitalismo, il paese più ricco dell'ex Jugoslavia non riesce a riprendersi dal tonfo economico del 2009. Il nuovo governo sembra troppo fragile per affrontare le riforme.

Pubblicato il 14 Febbraio 2012 alle 15:45
Manifestazione davanti alla borsa di Lubiana, 15 ottobre 2011

La Slovenia, un tempo paese modello e primo stato ex comunista ad adottare l'euro, fa fatica a riprendersi dal tracollo economico del 2009. Oggi è il suo principale istituto finanziario, la Nova Ljubljanska Banka (Nlb), a trovarsi nell'occhio del ciclone.

Cinque anni dopo l'adesione alla zona euro, l'economia slovena è minacciata. Lubiana non si è mai realmente ripresa dal crollo dell'8 per cento del suo prodotto interno lordo (pil) nel 2009, in piena crisi finanziaria. Secondo le previsioni dell'Eurostat, quest'anno la sua crescita dovrebbe raggiunge l'1 per cento, con un deficit in rapido aumento e consumi che non ripartono. Gli analisti sloveni sono però meno ottimisti e ipotizzano una crescita dello 0,2 per cento, o addirittura una recessione se la situazione della zona euro dovesse aggravarsi.

"Un tale rallentamento della crescita è principalmente dovuto al deterioramento della situazione economica internazionale, che ha interessato il settore delle esportazioni e degli investimenti", ha osservato Bosztaj Vasie, il direttore dell'Agenzia di analisi macroeconomiche e di sviluppo sloveno, intervistato da Finance. Ma questo è solo uno degli aspetti delle difficoltà slovene. Il paese soffre anche di un problema di credibilità. Di recente il rating di Lubiana è stato degradato due volte dall'agenzia Fitch. In settembre la sua doppia A è stata modificata in AA- con previsione negativa per il futuro.

Una previsione scontata, visto che i poteri pubblici non riescono a tenere sotto controllo un deficit pubblico che dal 2009 non è mai sceso sotto la soglia del 5 per cento. Le previsioni per l'anno in corso e per il prossimo sono altrettanto pessimistiche. Il piano di riduzione del deficit è stato parzialmente compromesso da un referendum, che con una percentuale del 72 per cento ha respinto il progetto di riforma delle pensioni che prevedeva lo spostamento dell'età minima pensionabile a 65 anni. I disaccordi su questo punto hanno provocato la caduta del governo e le elezioni anticipate.

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Dopo che il leader della coalizione vincente di centrosinistra Zoran Janković non è riuscito a formare un governo, due mesi dopo le elezioni (il 28 gennaio scorso) il parlamento sloveno ha infine approvato il 10 febbraio la nomina a primo ministro del liberale Janez Janša.

Il nuovo premier promette dei cambiamenti importanti: una riduzione delle spese pubbliche del 5 per cento, una riduzione progressiva dell'imposta sulle società dal 20 al 15 per cento, un aumento – dal 40 al 100 per cento – degli incentivi fiscali per gli investimenti nel campo della ricerca e dello sviluppo e il blocco delle pensioni durante la crisi. Tuttavia la realizzazione di questi progetti rischia di rivelarsi molto difficile. La nuova coalizione non è certo un modello di stabilità, perché i cinque partiti che la compongono dispongono di una maggioranza di appena due seggi.

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