La sede della Banca centrale europea a Francoforte. Foto MDP

Per un nuovo patto economico

La maggior parte dei governi europei è di destra, ma applica politiche economiche keynesiane. Le diverse forze politiche dell'Ue dovrebbero venirsi incontro ed elaborare una strategia comune per superare la crisi, scrive El País.

Pubblicato il 2 Giugno 2009 alle 16:12
La sede della Banca centrale europea a Francoforte. Foto MDP

La maggior parte dei governi dei 27 Paesi dell'Unione europea sono conservatori. Di destra sono anche la maggioranza del Consiglio europeo e il presidente della Commissione, Durão Barroso. Così come la maggioranza del Parlamento europeo, che si rinnoverà tra pochi giorni, è di centrodestra. Molti spagnoli di una certa età, che hanno sempre identificato l'Europa con le libertà perdute durante il franchismo (la cittadinanza politica e civile) e con il welfare (cittadinanza sociale) – legando l'Europa a un'idea progressista – sembrano dimenticarsi di questa realtà.

Le elezioni del Parlamento europeo, dal quale vengono già più della metà delle leggi che regolano la vita quotidiana dei cittadini europei, offrono la possibilità di frenare questa deriva dell'asse politico. In questo spazio pubblico condiviso che è l'Unione europea, inoltre, la crisi economica ha provocato un'enorme riduzione dell'attività, un forte aumento della disoccupazione (più di 20 milioni di persone) e una crescita zero dei prezzi che secondo alcuni analisti causerà una deflazione.

A questa congiuntura si aggiungono un fattore strutturale negativo – il fallimento dell'Agenda di Lisbona, che pretendeva di dotare l'Ue di un proprio modello sociale – e un paradosso: nonostante la maggior parte dei governi dell'area sia di stampo conservatore, la politica economica in uso è una politica keynesiana, di espansione della domanda, che non somiglia per niente al modello neoliberale in voga fino al 2007.

Data la natura, la profondità e la velocità della Grande recessione, i cittadini (secondo sondaggi privati ed Eurobarometro) sembrano rendersi conto di un fatto che i politici di alcuni paesi dell'Unione (per esempio la Spagna) non sembrano aver compreso: nessuna forza politica è capace, da sola, di tirare fuori i propri elettori dalle sabbie mobili economiche, globali e di sistema.

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Quando capiremo che è necessario un patto che sostituisca con successo quello firmato da socialdemocratici e democristiani all'indomani della Seconda guerra mondiale, che ha fatto dell'Europa un modello di integrazione, di successo e di progresso imitato da tutti? Quel patto diede il via all'età dell'oro del capitalismo (il periodo in cui l'economia è

cresciuta di più e più a lungo, fino alla metà degli anni settanta) e alla creazione del welfare.

Felipe González ha espresso i contenuti di questo nuovo patto in cinque punti: consolidamento di una politica economica anticiclica, che inverta il corso della recessione, e un nuovo ordine finanziario che impedisca di ricadere negli errori commessi; una nuova agenda che sostituisca quella di Lisbona e che vincoli indissolubilmente il modello economico allo stato sociale europeo (come restare una potenza economica e tecnologica in grado di competere nell'era della globalizzazione e come e quanta coesione sociale si può finanziare per mantenere il modello sociale distintivo dell'identità europea); una politica energetica che tenga conto allo stesso tempo della necessità di garantire l'accesso all'energia con le limitazioni che impone la lotta contro il cambiamento climatico; politiche migratorie comuni che includano la cooperazione con i paesi d'origine e che agiscano sulle cause dei flussi incontrollati; una politica della sicurezza che non si concentri solo sul terrorismo ma che contrasti anche il crimine organizzato.

C'è tempo per mettersi d'accordo su queste politiche più trasversali che ideologiche? In parte dipende dal risultato delle elezioni del Parlamento europeo. Per questo votare è imprescindibile.

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