Il dibattito sull’identità nazionale voluto da Nicolas Sarkozy scuote la Francia e solleva vari interrogativi. Dimostra una visione gretta dell’immigrazione? Qual’è il rapporto con i problemi legati all’Islam? Si può evitare la sua strumentalizzazione politica ?
In un editoriale pubblicato l’8 dicembre su Le Monde, il presidente francese ha voluto chiarire i termini della polemica. “L’identità nazionale è l’antidoto al tribalismo e allo spirito di appartenenza a una comunità. È per questo che ho auspicato che se ne parlasse in un grande dibattito. Questa minaccia che le nazioni della vecchia europa, a torto o a ragione, sentono pesare sulla loro identità, è necessario approfondirla parlandone tutti insieme, altrimenti finirà con l’alimentare un pericoloso rancore”. Organizzato a qualche mese di distanza dalle elezioni regionali, il dibattito sull’identità nazionale in Francia è considerato da molti osservatori un modo come un altro per attirare gli elettori di estrema destra.
Su Libération, i musulmani denunciano le generalizzazioni e la stigmatizzazione dei musulmani in Francia. Su Le Monde la sociologa Claudine Attias-Donfut sostiene che “lanciare un simile dibattito significa che stiamo vivendo una crisi di identità, il che non è assolutamente vero. A furia di insistere eccessivamente sulle difficoltà degli immigrati, per criticarli o per vittimizzarli, si occulta la realtà dell’integrazione della stragrande maggioranza di loro”. Ma allora – si interroga il politologo Alain Duhamel su Libération – “dovremmo contro ogni evidenza confutare il fatto che la questione dell’immigrazione entri in qualsiasi discussione sull’identità nazionale? Come sarebbe possibile, considerato che l’integrazione ha sempre fatto parte della storia dell’identità francese? Possiamo riflettere sulla nuova identità francese senza parlare della specificità dell’immigrazione? La Francia è da sempre un paese di immigrazione, a differenza della maggior parte dei paesi confinanti come Italia, Spagna e Germania”.
Identità ed esclusione
Il vero problema è che “per molti aspetti l’islam è al centro dei dubbi dell’Europa sulla sua identità” sottolinea sempre su Le Monde Jean-Paul Willaime. Ricordando che in Europa l’islam resta un fenomeno minoritario, il direttore dell’Istituto europeo delle scienze religiose sottolinea “l’enorme sproporzione tra il peso demografico della popolazione musulmana in Europa e l’attenzione e le preoccupazioni che esso suscita”. Questo perché “per quanto laiche, le società europee non sono ancora uscite del tutto da una concezione territoriale delle appartenenze religiose, mentre l’immaginario nazionale ed europeo non è più esclusivamente religioso”. Le crisi d’identità in atto in molti paesi occidentali nascondono in realtà una crisi più profonda. Secondoil quotidiano romeno Adevărul “l’introduzione di testi di storia per gli immigrati in Gran Bretagna, l’idea di una cittadinanza condizionata come il sistema dei punteggi in Italia o ancora il referendum sui minareti in Svizzera sono altrettanti segnali della “scoperta di società parallele” in cui vivono gli immigrati.
Tuttavia, anche se la “sua definizione è per sua natura un processo di esclusione”, l’identità è “un elemento a cui non si può rinunciare”, afferma il politologo Giovanni Sartori su El País. "Non tenerne conto sarebbe un grave errore, perché le società non possono funzionare senza un tessuto sociale chiaro e solido, e senza di esso i cittadini e gli individui diverrebbero altrettanti atomi scollegati”. Purtroppo, le democrazie occidentali “affrontano i problemi quando sono già esplosi”. Per quanto riguarda l’integrazione delle comunità isolate in seno alle nostre società, “non vi è altra soluzione che riflettere sui valori etici e politici su cui vogliamo basare questa integrazione”, conclude Sartori.