Due monete sono meglio di una

Invece di uscire dalla zona euro i paesi in crisi con il debito potrebbero introdurre una valuta parallela, che garantirebbe la stabilità interna durante la ristrutturazione delle loro economie.

Pubblicato il 29 Febbraio 2012 alle 13:26

Dopo due anni di duri sforzi e di spese, la situazione di Grecia, Portogallo e altri stati periferici in materia di esportazioni, raccolta delle imposte e competitività continua a peggiorare.

Questa situazione non offre molte vie di uscita. In primo luogo gli stati indebitati non possono abbandonare la moneta unica, perché questo colpirebbe i creditori che aspettano di essere rimborsati in euro. In secondo luogo i non riescono a garantire il funzionamento normale delle loro imprese, perché non ci sono euro in circolazione e non possono stamparli autonomamente.

Di conseguenza non rimangono che due soluzioni: chiedere prestiti a lungo termine in euro all'Fmi e all'Ue o introdurre una moneta nazionale (dracma o scudo) con un corso parallelo che può essere liberamente stampata in caso di necessità.

La prima possibilità (considerata oggi come la più realistica) può funzionare solo a condizione che i paesi esportatori più “saggi” dell'Ue (la Germania, i Paesi Bassi e il Lussemburgo) siano costantemente disposti a versare denaro ai paesi periferici. Tuttavia questi paesi potrebbero non avere più la motivazione necessaria.

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L'altra possibilità sarebbe quella di mettere in circolazione una valuta nazionale, parallela all'euro. In questo modo i creditori sarebbero soddisfatti: i debitori potrebbero facilmente rimborsare i loro debiti in euro, moneta che sarebbe utilizzata per le esportazioni e le sovvenzioni europee, mentre per le esigenze interne si userebbe la valuta nazionale.

Questa soluzione garantirebbe anche la stabilità interna, poiché gli stipendi degli insegnanti, dei pompieri o dei medici sarebbero pagati in valutata nazionale, che in caso di necessità può sempre essere ristampata. Il tasso di cambio fra l'euro e la moneta nazionale sarebbe fluttuante, cosa che porterebbe molto probabilmente a una riduzione annua di circa il 20 per cento del potere d'acquisto e degli stipendi reali.

L'esempio estone

Questo non farebbe certo piacere ai greci e i portoghesi, ma al momento non è questa la priorità. L'importante è che i cittadini dell'Europa meridionale, anche se scontenti e affamati, decidano di andare a lavorare per uno stipendio che finora hanno considerato come insufficiente. Per i paesi ricchi invece il vero vantaggio sarebbe evitare di dover contribuire al fondo di aiuto europeo e dover svalutare l'euro a causa delle continue immissioni di denaro fresco.

Ma questo modello ha già funzionato in passato? Possiamo prendere per esempio l'esperienza dell'Estonia alla fine degli anni ottanta e dei primi anni novanta, quando insieme al rublo sovietico e prima dell'arrivo della corona (nel 1992) circolavano anche dollari e marchi. Proprio in quel periodo, a causa delle monete parallele e della forte inflazione, vi è stata una redistribuzione delle risorse e delle spese nella nostra società.

Per una parte della popolazione questa redistribuzione è stata traumatica, ma questo non ha impedito alle scuole e agli ospedali di essere aperti, nessuno ha bruciato automobili per protesta e l'economia si è presto adattata per diventare più competitiva e orientata verso le esportazioni. E nell'arco di pochi anni l'Estonia è diventata agli occhi degli investitori stranieri uno dei paesi più interessanti del mondo.

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