Come un eurocrate ad Atene

I funzionari europei inviati a vigilare sull’applicazione dei piani della Troika sono diventati il bersaglio preferito della collera dei greci. Molti di loro devono uscire sotto scorta.

Pubblicato il 9 Aprile 2012 alle 09:13

Da un lato, una finestra si apre sulle rovine dell’Acropoli e sulle impalcature del team di archeologi che lavora nella culla della civiltà europea. Dall’altro uno dei due schermi sui quali Yannis Siatras segue l’andamento della borsa mostra, tra due quotazioni, l’immagine diventata il simbolo stesso dei diktat e del disprezzo dell’intera comunità: è la copertina del numero di febbraio 2010 della rivista tedesca Focus con la Venere di Milo che mostra il dito medio. Sotto il titolo compare la scritta: “Truffatori nella famiglia dell’Ue”. “Ecco, e dopo questa copertina vorreste anche dirci che l’Unione è al nostro fianco?”, inveisce Yannis, ex editore finanziario, che vorrebbe candiarsi alle prossime legislative, previste per l’inizio di maggio.

“State attenti ai luoghi comuni: avvelenano l’atmosfera”, aveva messo in guardia a Bruxelles Kostas Pappas, portavoce della rappresentanza permanente greca. La conferma arriva nei dintorni della delegazione della Commissione europea ad Atene, proprio dietro la sede del Parlamento: dall’altro lato della strada alcuni evzoni, i militari in uniforme tradizionale (in calzamaglia bianca e scarpe col pompon rosso), effettuano il cambio della guardia davanti a uno sparuto gruppo di turisti. Uno di loro, un americano-greco, irride alla bandiera blu a stelle dell’Ue: “Non c’è posto per queste nel paese di Socrate! Sono al servizio delle banche, senza morale!”.

Questo genere di accuse non ferisce più Panos Carvounis: cinquantenne distinto, abituato alle critiche, è l’ambasciatore dell’Ue in Grecia. “Vivo a casa mia, ma esco e vado al cinema normalmente, mentre tanti politici greci non osano neppure mettere il naso fuori di casa. Spesso mi chiamano in causa, ma non inveiscono mai contro di me”, racconta. Diversamente da lui, il resto del contingente di eurocrati installatosi ad Atene dall’inizio della crisi, nella primavera del 2010, ha fatto del silenzio la propria linea di difesa.

Oggi sono circa una quindicina gli esperti di stanza nella capitale greca, parte della task force costituita dalla Commissione europea per aiutare il paese a gestire i fondi comunitari. Altri trenta lavorano alla delegazione dell’Ue, e fungono da segretari della troïka (Commissione, Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea) incaricata di vigilare sull’applicazione del memorandum sottoscritto dal governo greco alla metà di marzo 2012.

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Spetta a loro vigilare sul secondo piano d’aiuti europeo di 130 miliardi di euro, per permettere ad Atene di finanziarsi fino alla fine del 2014. Oltre ai 110 miliardi prestati dai Ventisette nel maggio 2010, e ai 107 miliardi di debiti che i creditori privati hanno accettato di cancellare nell’ambito di uno scambio di obbligazioni che si concluderà il 18 aprile

I membri della task force, che raddoppieranno di numero molto presto, si trovano ad Atene per osservare e aprire i cordoni della borsa. Sono dunque abbastanza popolari. Quelli della troïka, invece, controllano, verificano, sottopongono a revisione. Sono i bersagli ideali per tutti coloro che l’Europa ritiene nemici: ondate di dipendenti pubblici licenziati, imprenditori strozzati dalle banche e alla deriva, politici populisti abili a sfruttare il rancore antitedesco, nazionalisti di estrema destra e anticapitalisti della sinistra radicale…

I loro stili di vita sono di conseguenza agli antipodi. I primi si rivolgono alla società civile, incontrano le parti sociali e sono sparsi tra appartamenti privati o camere d’albergo in centro affittate di mese in mese. I secondi fanno la spola avanti e indietro, negoziano con i ministeri e occupano le suite dell’Hilton di Atene sotto la protezione della polizia.

I media greci riassumono questo apparato in tre nomi: quelli di Matthias Mors, Horst Reichenbach e Georgette Lalis, rispettivamente rappresentante della Commissione in seno alla troïka, capo della task force e responsabile di quest’ultima ad Atene. La nazionalità tedesca dei primi due stimola le caricature, del genere “Bismark da Socrate”.

A conferma di questo malessere c’è l’imbarazzo suscitato dal fatto che l’esperto fiscale inviato dalla Commissione sia un “tedesco ellenofono”. I suoi colleghi suggeriscono di “non farlo sapere troppo in giro” e si congratulano di aver già recuperato 500 milioni di euro di imposte evase.

Georgette Lalis, alta funzionaria greca inviato da Bruxelles per dirigere il team della task force ad Atene, è da quel momento l’anello cruciale della catena: questa signora cinquantenne, affabile e schietta, abita al settimo piano di un triste palazzone del quartiere residenziale di Panormou. Il suo capo, Horst Reichenbach, si sposta con la guardia del corpo. Lei no. Lui è esperto di politichese. Lei no. Georgette Lalis, inviata dall’Ue ad Atene dal 2001 al 2004, ha diretto il catasto greco, quel labirinto di intrallazzi e causa prima di massiccia evasione fiscale

“L’Europa punta in Grecia ai problemi tra stato e cittadini”, spiega. E uno dei suoi collaboratori rincara: “Nessuno ha mai detto al popolo che dovrà pagare per tre generazioni il rapido arricchimento degli ultimi vent’anni. Noi siamo quelli incaricati di presentare loro il conto”.

L’altra difficoltà, per gli eurocrati incaricati della gestione finanziaria, è data dal fatto che si trovano per le mani passività molto ingenti. Il rifiuto da parte della Commissione europea di affrontare gli stati membri per chiedere loro di “imporre una disciplina” alla Grecia a partire dal deragliamento delle spese pubbliche dopo i Giochi olimpici del 2004 è una nota stonata.

Omertà comunitaria

La cecità di Eurostat, l’istituto di statistica dell’Ue, a fronte di truffe spudorate e vergognose da parte dei greci, alimenta la teoria del complotto. Il mutismo del presidente greco della Corte europea di giustiziadel Lussemburgo, VassiliosSkouris – un tempo candidato alla guida del governo di coalizione al posto di Lucas Papadémos, ex vicepresidente della Bce investito dall’Ue e dai grandi partiti greci – accredita l’idea di una passività complice.

Sarà vero? AchilleasMitsos tergiversa. Nel suo bell’appartamento a Kolonaki, il quartiere più chic di Atene prima che i greci arricchiti traslocassero verso le coste, questo ex direttore generale della Commissione in pensione illustra le cose non dette che hanno accompagnato la Grecia da quando è entrata nell’Ue nel 1981, e in seguito l’adozione ancora più controversa dell’euro da parte sua. “Tutto ciò è estremamente complesso”, temporeggia in un francese castigato. “Spesso alle riunioni di Bruxelles mi capitava di far presente che si doveva controllare di più il paese, ma in altri ambiti la Grecia stava facendo progressi incontestabili”. Omertà comunitaria.

Grazie ai soldi ricevuti da Bruxelles o presi in prestito a tassi scontati sui mercati, la “bolla” greca ha arricchito gli uni e fatto fare carriera agli altri. “I nostri eurocrati greci sono stati i peggiori”, inveisce Andreas, importatore di calzature. “Lo sapevano, ma non hanno osato intervenire. Anzi, peggio ancora: alcuni di loro erano orgogliosi di vedere la piccola Grecia prendere in giro l’Europa. Si sono comportati come politici. E tutto ciò mentre i nostri politici si comportavano come truffatori!”.

E adesso? “Servirebbe un Jacques Delors che dicesse con coraggio ai greci: ‘Le vostre frontiere sono quelle d’Europa. Voi siete l’Europa, ma molti vostri dirigenti all’Ue sono assolutamente indegni’”, risponde nervosamente un funzionario Ue. Ma la pagina di Delors è già stata voltata. E José Manuel Barroso, attuale presidente della Commissione europea, dall’inizio della crisi non ha più rimesso piede nella capitale greca.

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