Kosovari festeggiano l'indipendenza, 17 febbraio 2008. (AFP)

Kosovo, il vicino problematico

A due anni dalla dichiarazione di indipendenza del Kosovo, l’Unione europea è ancora incapace di elaborare una politica coerente per i Balcani occidentali. Il rischio non è solo di far naufragare l’ingresso della Serbia nell’Ue, ma anche di destabilizzare la regione.

Pubblicato il 17 Febbraio 2010 alle 15:47
Kosovari festeggiano l'indipendenza, 17 febbraio 2008. (AFP)

Nel secondo anniversario della dichiarazione di indipendenza del Kosovo, le divisioni interne all’Ue in materia continuano ad aggravarsi. Dopo della controversia provocata dalla infelice strategia per il nord, il cosiddetto Quintetto sta esercitando pressioni diplomatiche ancora più forti sulla Serbia affinché non si opponga all’indipendenza del Kosovo.

Al contrario, la Spagna, che da gennaio è titolare della presidenza dell’Ue, esorta a riprendere i negoziati e auspica un accordo che soddisfi entrambe le parti. Fonti kosovare hanno fatto sapere che se i serbi nel nord continuassero a opporsi all’integrazione, gli albanesi nel sud-est della Serbia sarebbero pronti a unirsi al Kosovo. Benché si tratti di una posizione di minoranza nell’Ue, la posizione della Spagna rappresenta il modo più costruttivo per superare l’impasse sullo status del Kosovo e portare finalmente una pace duratura nella regione.

Di chi è il tono aggressivo?

Il cosiddetto Quintetto, formato da Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia e Stati Uniti, di recente ha inviato un forte messaggio al ministro serbo degli esteri, dichiarando in un comunicato che “finora abbiamo tollerato il tono aggressivo della Serbia nei confronti del Kosovo, perché credevamo che col tempo avrebbe finito per accantonare questa faccenda”, e ha intimato alla Serbia di astenersi da “azioni avventate” quando il Tribunale Penale Internazionale emetterà il proprio verdetto sulla legittimità dell'indipendenza del Kosovo.

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Non è chiaro, però, che cosa intenda dire esattamente il Quintetto parlando di “tono aggressivo” e di “azioni avventate”. Vuk Jeremic, ministro serbo degli esteri, ha proposto una riunione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite subito dopo il verdetto del Tribunale dell’Aja, allo scopo di garantire pieno appoggio a nuovi negoziati per una definizione dello status del Kosovo. Simili iniziative mirano rispettare la promessa della Serbia di utilizzare mezzi pacifici, diplomatici e legali per contrastare l’indipendenza del Kosovo.

La Serbia in difficoltà

La Spagna, uno dei cinque stati membri dell’Ue (oltre a Grecia, Cipro, Slovacchia e Romania) che si rifiutano di riconoscere l’indipendenza del Kosovo, da tempo appoggia la posizione della Serbia, consapevole del potenziale rischio di congelare il conflitto nei Balcani, che complicherebbe ulteriormente l’avvicinamento della regione all’Ue. In realtà, come se volesse preannunciare la situazione che la Serbia si troverà ad affrontare, l'ambasciatore spagnolo a Belgrado Iñigo de Palacio España ha sostenuto che “sarebbe davvero un paradosso se la Serbia, che sta facendo molti sforzi per trovare una soluzione con il dialogo e i negoziati, fosse punita e ostacolata nel suo cammino verso l’integrazione europea”. I due requisiti voluti dall’Ue, “buone relazioni di vicinato” e cooperazione costruttiva nella regione, finiranno per diventare le principali leve utilizzate contro la Serbia dai protagonisti dell’indipendenza del Kosovo.

Mentre le incertezze sullo status del Kosovo continuano ad aumentare, il presidente dell’assemblea del Kosovo Jakup Krasniqi si è abbandonato più volte a discorsi secessionisti e dal “tono aggressivo”, minacciando che "la minoranza albanese in Serbia meridionale è pronta a unirsi al Kosovo” se i serbi nel nord del Kosovo continueranno ad opporsi all’integrazione nelle istituzioni di Pristina. Il segretario serbo per il Kosovo Oliver Ivanovic ha esortato la comunità internazionale a condannare una simile “propaganda di guerra”, ma non ha ancora avuto risposta, malgrado la gravità delle affermazioni di Krasmiqi. Alla luce di queste minacce, le dichiarazioni secondo le quali l’indipendenza del Kosovo contribuisce alla pace e alla stabilità della regione paiono ancora meno realistiche.

Un’occasione per il soft power dell’Ue

Per Catherine Ashton, la nuova Alta Rappresentante dell’Ue che il 18 febbraio dovrebbe recarsi in visita a Belgrado, i Balcani occidentali rappresentano una delle sfide prioritarie della sua agenda, un rischio che potrebbe erodere ancor più le aspirazioni dell’Ue a un ruolo da protagonista sulla scena internazionale. Con l'incombere del verdetto del Tribunale Penale Internazionale, considerare il suggerimento spagnolo sul Kosovo potrebbe offrire all’Ue l’occasione di garantire una soluzione sostenibile alla questione dello status del Kosovo, una soluzione che si potrebbe basare sul “soft power” di cui l’Ue è capace. Continuare a seguire la strada attuale potrebbe pregiudicare l’intera strategia per la regione, specialmente in Bosnia ed Erzegovina, e compromettere lo sviluppo di una politica efficace e coerente. (ab)

Allargamento

Romania e Bulgaria ringraziano la guerra

Il sostegno di Bucarest e di Sofia alla Nato durante al guerra in Kosovo (nel 1999) ha permesso loro di bruciare le tappe verso l'adesione all'Unione europea (nel 2007), anche se non avevano soddisfatto tutti i criteri. “La Romania e la Bulgaria sono state ammesse nell'Ue per ragioni strategiche”, afferma Günter Verheugen in un'intervista a România Liberă. "Chi pensa che l'entrata di questi due paesi sia stato un errore sbaglia. All'epoca eravamo nel pieno della guerra in Kosovo e la nostra principale preoccupazione era la stabilità della regione", aggiunge l'ex commissario europeo all'allargamento, secondo il quale i due paesi si erano impegnati a non permettere a eventuali aerei russi di sorvolare il loro territorio per portare aiuto ai serbi. "I due paesi hanno rispettato tutti i loro impegni", conclude Verheugen. "Non voglio neanche immaginare che cosa sarebbe successo nella regione se Romania e Bulgaria non avessero ricevuto una chiara prospettiva di adesione all'Ue".

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