Soldati tedschi si preparano all'operazione Atalanta nelle acque somale nel 2008. (AFP)

L'Europa deve serrare i ranghi

Finora i paesi europei hanno seguito ciascuno la propria strada in termini di ricerca e strategia militare. Ma le nuove sfide come l'Afghanistan li stanno obbligando a ripensare la loro opposizione a un coordinamento europeo.

Pubblicato il 9 Marzo 2010 alle 16:14
Soldati tedschi si preparano all'operazione Atalanta nelle acque somale nel 2008. (AFP)

Il 2010 potrebbe essere un anno cruciale per il futuro della difesa eurpea. I paesi impegnati nella guerra ai taliban in Afganistan devono valutare l'efficacia della nuova strategia sul campo. Nel frattempo, l'attrito diplomatico tra Nato e Ue sulla divisione di Cipro è ancora in bilico tra risoluzione e stallo a tempo indeterminato. I prossimi mesi saranno fondamentali: i membri delle due alleanze hanno molti punti di convergenza e al momento la "questione Cipro" è il più grosso impedimento ad una cooperazione più stretta e distesa. Gli Usa e la Gran Bretagna sono impegnati ad elaborare una controffensiva efficace agli elementi che minacciano i loro interessi. Allo stesso tempo la Nato, forte del ritorno nei ranghi della Francia, cercherà una nuova concezione strategica che aumenti la sua efficacia sul campo.

Dal canto suo l'Europa dovrà capire se i nuovi meccanismi di politica estera e sicurezza introdotti con il trattato di Lisbona sono davvero in grado di agevolare e semplificare l'azione militare. Dalla fine della guerra fredda, ormai vent'anni fa, gli stati membri dell'Ue hanno provato più volte a rinnovare i protocolli strategici con la promessa di un cambiamento radicale. Ma il risultato è stato ogni volta impalpabile, sia a livello nazionale che comunitario. L'European union battle group, concepito nel 2004, avrebbe dovuto aumentare la rapidità dell'Europa nel raggiungere le aree di crisi nel mondo. Finora non è stato schierato neanche un battaglione.

Adattarsi per vincere

Questa volta però è diverso, e la differenza si riassume in due parole: Afghanistan e budget. In Afganistan è ormai lampante che né la Nato né l'Europa e i suoi membri hanno i mezzi necessari a combattere il tipo di guerra in cui sono stati trascinati dai taliban. Per vincere bisognerà adattarsi. L'aumento delle spese militari va giustificato con una maggiore efficienza. Il budget totale dei 27 stati membri della Ue è al momento quasi la metà di quello degli Usa. L'impegno economico europeo è però frammentato, dato che ogni singolo stato deve mantenere un esercito indipendente. Di conseguenza gli investimenti, compresi quelli per la ricerca tecnologica e lo sviluppo, sono molto minori rispetto a quelli americani: 42 milioni di euro contro 166, secondo un rapporto del 2008 dell'Eda (Agenzia europea per la difesa). Di contro, i 26 stati membri dell'Eda – tutti i paesi Ue tranne la Danimarca – spendono più degli Usa in termini di personale, 106 milioni contro 93.

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Gli eserciti d'Europa abbondano insomma di soldati, ma equipaggiati in modo insoddisfacente. La situazione attuale rende impellente la messa in atto della logica alla base dell'Eda: aumento della cooperazione, ricerca e sviluppo tecnologico comuni e, nel lungo periodo, creazione di un'unica economia militare interna. Al momento però l'azione dell'Eda è soffocata dall'abitudine dei 27 mebri Ue di affrontare singolarmente ogni valutazione e pianificazione strategica, un po' come accade in generale a tutti i progetti di cooperazione. La Strategia europea di sicurezza del 2003, aggiornata nel dicembre 2008, è ancora troppo generica per essere tatticamente utile.

Approcci troppo distanti

Gli stati europei hanno urgente bisogno di un coordinamento, perché la molteplicità e la varietà delle aree d'azione non lasciano spazio a singole valutazioni di complementarietà ed economia di scala. Al momento, alcuni stati si concentrano sulla difesa del territorio contro un nemico immaginario, altri indirizzano le loro risorse contro nuove minacce, come gli attacchi cibernetici, altri ancora vedono le proprie forze armate esclusivamente come corpi di pace e impiegano i fondi per aumentarne le competenze più "soft".

Lo sviluppo della Politica europea di sicurezza e difesa (Pesd) negli ultimi anni è stato guidato dai singoli stati. In assenza di una stima complessiva delle potenzialità militari dei paesi membri e delle loro complementarità, la Pesd sarà sempre meno efficace di quanto potrebbe essere, impantanata tra soluzioni ad-hoc e approcci nazionali. L'Afghanistan è proprio il tipo di problema che mette a nudo i limiti e i costi di un groviglio del genere. (as)

COOPERAZIONE

La crisi fa bene alla difesa comune

La Gran Bretagna, da sempre scettica di fronte alle collaborazioni militari (come dimostra l’abbandono del progetto delle portaerei franco-britanniche), sta iniziando a scoprire i pregi della difesa europea. I tagli di bilancio in programma obbligano Londra a una drastica revisione dei suoi piani, inclusi quelli in ambito nucleare: non potrà sostituire uno dei suoi sottomarini strategici, e dovrà quindi rinunciare al suo deterrente globale, come ha ammesso il ministro della difesa britannico Bob Ainsworth in un rapporto presentato all’inizio di febbraio. La cooperazione potrebbe interessare proprio il nucleare, e Francia e Gran Bretagna potrebbero garantire una vigilanza congiunta in acque internazionali. Recentemente Guido Westerwelle, ministro tedesco degli esteri, ha caldeggiato la creazione di un “esercito europeo […] sotto controllo esclusivo del parlamento”. Tutto ciò nonostante l'Alta rappresentante per la politica estera Catherine Ashton abbia espresso più di un dubbio sul rafforzamento dello stato maggiore europeo. Jean Quatremer, Coulisses de Bruxelles.

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