Il tempo è quasi scaduto

Il destino di Madrid avrebbe dovuto essere deciso dopo le elezioni greche del 17 giugno. Ma di fronte al precipitare degli eventi i tempi stanno accelerando drammaticamente.

Pubblicato il 6 Giugno 2012 alle 15:49

Il clima politico che circonda la crisi dell’euro negli ultimi giorni è cambiato in modo quasi impercettibile. Da un vago consenso sul concetto che la Spagna, nell’occhio del ciclone, non poteva aspettarsi nulla prima del 17 giugno — data in cui si terranno le seconde elezioni in Grecia, dopo che le prime non hanno portato alla formazione di un nuovo governo — si è passati a qualcosa di diverso: “Bisogna fare qualcosa, qualsiasi cosa, prima di quella data”. Panico o semplice previsione?

Il segno più evidente di questo nuovo clima è stata la videoconferenza del 5 giugno tra i ministri delle finanze del G7, evento alquanto insolito e che in genere finora preludeva sempre a un’azione concertata da parte delle principali banche centrali. Ed è proprio questo che potrebbe infatti accadere al meeting del board della Banca centrale europea, la grande speranza per coloro che auspicano un’azione immediata a difesa della valuta unica.

Sulla Spagna convergono due trend. Il primo è l’assoluta e crescente sfiducia dei mercati nella sostenibilità dell’indebitamento pubblico, statale e privato (bancario) della Spagna. Il secondo è una vaga sensazione che la zona euro – che ai fini di ciò di cui stiamo parlando significa per lo più Germania, di questi tempi – potrebbe essere disposta a intervenire per scongiurare il disastro che seguirebbe il crollo della Spagna. I mercati azionari e valutari per tutto il giorno sono andati al rialzo e al ribasso in modo altalenante, a seconda delle voci sul prevalere dell’uno o dell’altro trend.

È arrivato il momento di raccogliere i cocci. Luis de Guindos, ministro delle finanze spagnolo, vuole che il settore bancario del suo paese sia in grado di ottenere i soldi europei senza che si arrivi al bailout. Se ciò accadesse, vorrebbe dire la fine politica del governo di Mariano Rajoy e un enorme sacrificio per il popolo spagnolo, che sarebbe sottoposto ai dettami dei creditori.

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Più di ogni altra cosa, un bailout vorrebbe dire che il paese sarebbe escluso dai mercati. L’unica fonte di nuovi finanziamenti per coprire gli interessi dei buoni sarebbe a quel punto il fondo di soccorso europeo, che imporrebbe al governo spagnolo tutte le decisioni economiche, senza possibilità di appello.

Il governo si ritroverebbe con mani e piedi legati. I principali azionisti di quel fondo sono infatti quegli stessi paesi dove hanno sede le banche che hanno prestato somme incalcolabili alle loro controparti spagnole e allo stesso stato spagnolo. Come vediamo accadere oggi in Grecia, il bailout – uno dei termini più eufemistici introdotti dalla crisi dell’euro - equivale a essere strangolati.

È risaputo infatti che Atene non vede neppure un euro dei presunti soldi del bailout, perché vanno a finire tutti direttamente ai creditori, che in questo caso sono il Fondo monetario internazionale, la Bce e la Commissione europea.

Pacchetto completo

Dal punto di vista del creditore, tuttavia, le cose assumono tutt’altro aspetto. Autorizzare un bailout parziale soltanto delle banche nei guai potrebbe essere il primo passo verso la conclusione di trattative bilaterali sui debiti di quegli enti nei confronti dei loro creditori, senza poter garantire la riscossione con la stessa certezza che ci sarebbe qualora l’intero territorio fosse stato messo adeguatamente in sicurezza – vedi il paese che è stato salvato con un’iniezione di capitali.

A dar retta a quello che il governo spagnolo sta suggerendo e che i leader tedeschi dicono ufficialmente, la Germania sta aiutando la Spagna. Ma stando alla stampa internazionale Angela Merkel e il suo ministro Wolfgang Schäuble sono le persone più interessate a far sì che Madrid accetti il pacchetto completo: un intervento vero e proprio di bailout. Anche Obama, Hollande e Barroso sono nell’elenco di coloro che stanno sollecitando Berlino a fare un gesto decisivo.

Il 5 giugno Cristóbal Montoro, ministro spagnolo del bilancio, ha riassunto la situazione del governo spagnolo con una battuta – “I men in black (rappresentanti della troika) non verranno”, un modo tutto sommato divertente per respingere l’intervento di salvataggio – ma ha anche dovuto ammettere che per salvare le banche serve denaro. “Il problema è dove trovarlo”, ha detto.

Quest’ultima frase probabilmente serve a farci comprendere meglio quel cambiamento di clima di cui si parlava all’inizio. La Spagna riesce soltanto a malapena a continuare ad accedere ai mercati, e senza aiuto dalla Bce e dalla zona euro, non riuscirà a fare molto di più.

In Europa

Nel segno della paura

“Madrid stringe i denti e si difende dal “pacchetto di salvataggio”, scrive il settimanale polacco Tygodnik Powszechny. Gli irlandesi, già beneficiari degli aiuti economici internazionali, hanno appena approvato il trattato fiscale attraverso un referendum, ma soltanto perché “hanno paura del futuro e di essere abbandonati”.

Spagna e Irlanda sono unite dalla paura, che di questi tempi è il sentimento dominante in Europa. Un sentimento che si annida da qualche parte tra lo stomaco e il cuore, e ogni tanto mozza il respiro. Lo avvertono i greci come gli spagnoli, i britannici e i polacchi. Persino i tedeschi - schiacciati dal fardello della responsabilità di dover salvare l’Europa intera dalla crisi - hanno apparentemente perso il loro gene della felicità, e cominciano a sentire l’angoscia.

La paura ha spinto gli irlandesi a stringere la cinghia per gli ultimi 4 anni, e anche se non ce la fanno più “non vedono altro modo per uscire dalla crisi”, sottolinea il settimanale cattolico. Nel frattempo il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy

si ostina a dire che Madrid non ha bisogno di un aiuto internazionale, e combatte disperatamente per salvare la credibilità del suo paese. Ma le sue rassicurazioni appaiono sempre meno convincenti.

Anche se il governo spagnolo riuscisse a salvare Bankia, Tygodnik Powszechny si domanda dove potrebbe trovare “fino a 100 miliardi di euro” per salvare l’intero sistema bancario.

La paura di ciò che è accaduto in Spagna ha già superato i confini della penisola iberica. Dopotutto l’economia spagnola è grande quasi il doppio di quelle di Grecia, Portogallo e Irlanda messe assieme.

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