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Estonia, un rigore ben sovvenzionato

Spesso considerati un modello di riduzione delle spese, gli estoni sono riusciti a superare la grave crisi del 2007-2009 grazie ai fondi versati dall’Ue.

Pubblicato il 27 Giugno 2012 alle 10:12

I tweet notturni del presidente Toomas Hendrik Ilves a proposito delle osservazioni di Paul Krugman sull’Estonia hanno provocato un acceso dibattito. Il premio Nobel per l’economia aveva affermato che l’Estonia, diventata l’incarnazione di un rigore esemplare, non è stata in fin dei conti un così gran successo economico.

Questa opinione ha scatenato una moltitudine di critiche. In uno dei suoi tweet Ilves ha citato in particolare un articolo dell’economista svedese Anders Åslund, che faceva osservare come nel 2008 l’Estonia non avesse alternativa alla politica di rigore. “Gli Stati baltici non hanno né una fiscalità né una politica finanziaria indipendente, di conseguenza non possono ‘stimolare’ la loro economia”, scriveva Åslund sul Postimees.

Ma in questo animato dibattito su Twitter nessuno dei protagonisti si è dato la pena di guardare da vicino i dati economici estoni. In effetti affermare che il governo non abbia stimolato l’economia è quanto meno sbagliato.

Nel bilancio dell’Unione europea per il periodo 2007-2013, gli Stati baltici avevano negoziato le più importanti sovvenzioni europee in percentuale rispetto al loro Pil. Casualmente l’inizio dei versamenti è coinciso con il momento in cui nel 2008 la crisi economica mondiale cominciava a prendere proporzioni inquietanti.

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Nessun altro stato membro dell’Ue ha avuto un aiuto così consistente da spendere, né allora né oggi. In questo periodo l’Estonia ha beneficiato di oltre 4,5 miliardi di euro, di cui un po’ più della metà è già stato utilizzato.

Per paragonare la situazione ad altri casi si potrebbe immaginare la situazione inversa. Ammettiamo che l’Estonia non disponga di tutti questi sussidi europei ma che il governo, per affrontare una gravissima crisi economica, ritenga di dover dare al paese tutto quello che si può ottenere con i finanziamenti europei: costruzione di autostrade, qualificazione dei disoccupati, investimenti nell’insegnamento superiore e professionale e così via. Con la riduzione delle sue entrate il governo non avrebbe altra scelta che chiedere in prestito del denaro.

Quale lezione possiamo trarre da tutto ciò? Si potrebbe ironicamente dire che Krugman ha criticato la gestione politica della crisi, e cioè che in ultima analisi neanche un buono “stimolo” all’economia ci abbia riportato ai tempi migliori.

Ma al tempo stesso si dovrebbe avere più empatia per i governi dei paesi in crisi, che insistono sulla necessità di condurre al tempo stesso una politica di stimoli e di rigore. È vero, si devono ridurre le spese, fare riforme strutturali, ma anche l’Estonia non è uscita dalla crisi solo grazie a questi metodi. E senza uno stimolo all’economia attraverso le sovvenzioni europee, difficilmente la recessione in Estonia si sarebbe limitata al 18 per cento del Pil [fra il 2007 e il 2009] e la ripresa non sarebbe stata così rapida.

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