Quarto, Semi, Finale

Il disco rotto dell'Europa

L’Unione europea si trova ad affrontare l’ennesimo vertice considerato risolutivo. Ma la musica è sempre la stessa. I leader europei restano arroccati sulle proprie posizioni, sperando che la crisi si risolva da sola, così come i generali statunitensi continuavano a bombardare il Vietnam, incapaci di trovare una via di uscita alla guerra.

Pubblicato il 28 Giugno 2012 alle 12:10
Quarto, Semi, Finale

Alla vigilia del vertice europeo di oggi, l'economista greco Yanis Varoufakis scruta l'incaponita ottusità delle politiche con cui i governi dell'Unione pretendono di salvare la moneta unica, e si stupisce di fronte a tanto guazzabuglio dei cuori e delle azioni. Un'attesa quasi messianica di palingenesi si combina all'abulia dei politici, alla pigrizia mentale degli economisti, alla sbalorditiva mancanza di leadership.

Ancora una volta siamo alla vigilia di un vertice definito cruciale. Ci sarà un prima e un dopo, decideremo cose grandi o fatalmente naufragheremo. Alcuni si esercitano a contare i minuti: l'euro non vivrà più di tre mesi, dicono, pensando forse che l'orologio stia fermo. Sono anni che i mesi di vita sono quasi sempre tre. È quello che spinge Varoufakis a fare due paragoni storici che fanno paura a pensarci. Il primo rimanda alla crisi del '29, e alla condotta che il Presidente americano Hoover ebbe a quel tempo. La ricetta era uguale a quella di oggi: ridurre drasticamente la spesa pubblica, tagliare salari e potere d'acquisto, il tutto mentre l'economia Usa implodeva. Seguirono povertà, furore, e in Europa fine della democrazia.

Non meno inquietante il paragone con la guerra del Vietnam: negli anni '60-'70, gli uomini del Pentagono erano già certi della sconfitta. Continuarono a gettar bombe sul Vietnam, convulsamente, perché non riuscivano a mettersi d'accordo su come smettere un attivismo palesemente sciagurato. Riconoscere l'errore e cambiar rotta avrebbe salvato migliaia di vite americana, centinaia di migliaia di vite vietnamite, e risparmiato parecchi soldi. Disfatte simili a queste lo storico Marc Bloch le chiamò "strane", nel 1940: le avanguardie politico-militari sono senza visione né guida, mentre nelle retrovie società e classi dirigenti franano. Chi guida oggi l'Europa è animato dalla stessa non-volontà: la crisi delle banche e dei debiti non è guerra armata, ma certi riflessi sono identici. Il povero cittadino perde la testa, non si raccapezza.

Sono mesi che si succedono vertici (a due, quattro, diciassette, ventisette) e ognuno è detto risolutivo. Sono mesi che sul palcoscenico vengono e vanno personaggi, declamando frasi inalterabili. Merkel e Schäuble entrano in sala di Consiglio, si siedono, e recitano: "Non si può fare, prima della solidarietà ognuno faccia ordine a casa". E sempre c'è qualcuno, della periferia-Sud, che invece di negoziare sul serio implora: "Ma fate uno sforzo, qui si sta naufragando!". Sembra la musica che nei dischi di vinile d'improvviso s'incantava. Si siedono e ripetono se stessi, come i generali quando continuavano a cannoneggiare i vietnamiti nella speranza che la guerra, come i mercati, si sarebbe placata da sola, esaurendosi.

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Qualcosa, è vero, sta muovendosi in Europa. Grazie alle pressioni di socialdemocratici e verdi, il governo liberal-conservatore tedesco ammette d'un tratto che qualcosa bisogna fare per la crescita (una parola vana come quando i generali in guerra dicono: pace). Nella riunione a 4 che si è svolta a Roma tra Merkel, Hollande, Monti, Rajoy si è deciso di mobilitare 130 miliardi di euro (una bella somma ma sporadica, visto che contemporaneamente non si vuole un aumento del comune bilancio europeo). Si è anche deciso, finalmente, di ignorare le riserve inglesi e svedesi e di approvare una tassa sulle transazioni finanziarie, per dar respiro all'eurozona.

Gara mortale

Passi avanti sono stati fatti, assicurano i governi, ma l'essenziale manca: ancora non si possono emettere eurobond, e Berlino esita sul progetto - concepito in novembre dal Consiglio tedesco degli esperti economici - di una redenzione parziale dei debiti. "Ci vuole un salto federale", si comincia a sussurrare, ma anche queste parole rischiano di tramutarsi in nomi nudi, apparenti: come crescita, pace. La sostanza che resta è il dogma tedesco della casa in ordine. E resta il nuovo potere di controllo sui bilanci nazionali, conferito alla Commissione di Bruxelles. Ma un potere strano, di tecnici che censurano e castigano. Non un potere che edifica politiche, dispone di proprie risorse, è controbilanciato democraticamente.

Il fatto è che le misure non bastano perché il male non è tecnico: è politico. Ci siamo abituati a criminalizzare i mercati, a dire che l'Europa non deve dipendere dalla loro vista corta. Ma li ascoltiamo, i mercati? Sono imprevedibili, ma se diffidano dei nostri rimedi significa che c'è dell'altro nella loro domanda: "Siete proprio intenzionati a salvare l'Euro? La volete fare o no, l'unione politica che nominate sempre, restando fermi?". Se i mercati somigliano a una muta di cani aizzata è perché fiutano un'Europa e una Germania che il potere non se lo vogliono prendere, che scelgono l'irrilevanza mondiale. Si calmeranno solo di fronte a un piano con precise scadenze (importa dare la data, anche se non immediata): un piano che preveda un fisco europeo, un bilancio europeo credibile, un controllo del Parlamento europeo, una Banca centrale simile alla Federal reserve, un'unica politica estera. Hanno ragione a insistere. Anche perché stavolta, manca l'America postbellica che spinse alla federazione. Obama chiede misurette all'Europa, non un grande disegno unitario.

Il salto federale di cui c'è bisogno, pochi vogliono compierlo. Hollande dice che l'unione politica voluta da Berlino è accettabile solo se subito c'è solidarietà. La Merkel non esclude la solidarietà, ma prima chiede l'unione politica. Qualcuno dunque bluffa. È come la scena del film Gioventù bruciata: due ragazzi guidano simultaneamente le loro auto verso un dirupo. Il primo che sterza sarà chiamato coniglio o pollo (per questo si parla di chicken game). Se entrambi insistono nella corsa finiranno nella fossa. È tragico il gioco, perché riproduce il vecchio equilibrio di potenze nazionali che ha condotto il continente alla rovina. L'Unione europea era nata per abolire simili gare di morte.

Patto di crescita

Un progetto vuoto per accontentare François Hollande

“Un falso patto”. Così lo Spiegel definisce il patto per la crescita che dovrebbe essere adottato in occasione del Consiglio europeo. Secondo il settimanale di Amburgo l’accordo, che dovrebbe sbloccare 130 miliardi di euro, è un regalo per il presidente francese François Hollande:

Coloro che sostengono il patto - il socialista François Hollande in testa - lo esaltano come se fosse uno strumento di correzione necessaria della politica d’austerity in Europa. In base al progetto, tracciato a grandi linee venerdì scorso [22 giugno] a Roma da Mario Monti, Angela Merkel e François Hollande [e Mariano Rajoy], gli stati membri promettono di investire in ‘settori innovativi’ e di facilitare l’accesso al credito per gli imprenditori.

Ma i leader delle quattro maggiori economie dell’eurozona sanno che queste promesse, fatte per rassicurare gli elettori e i mercati, sono soltanto illusorie. Secondo un’analisi interna di uno degli stati membri, il patto non conterrebbe nulla di nuovo e verrebbe adottato esclusivamente affinché Hollande, che aveva preteso misure in favore della crescita in campagna elettorale, possa salvare la faccia.

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