La manifestazione organizzata a Barcellona, come in altre grandi città spagnole, il 19 luglio.

Alla ricerca di un nuovo spirito di squadra

Il 19 luglio diverse centinaia di migliaia di persone hanno manifestato contro la politica di austerità del governo di Mariano Rajoy. Oggi, nel momento in cui sarebbe più necessaria una prova d’orgoglio, gli spagnoli non hanno più fiducia nella politica.

Pubblicato il 20 Luglio 2012 alle 15:13
La manifestazione organizzata a Barcellona, come in altre grandi città spagnole, il 19 luglio.

Nel corso della legislatura precedente vivevamo già una situazione eccezionale, ma chi governa oggi non ha voluto tenerne conto. All’epoca il paese non era una priorità, contavano solo gli interessi elettorali. Una volta raggiunti questi obiettivi [l’arrivo al potere dei conservatori guidati da Mariano Rajoy risale al novembre 2011], i nostri governanti hanno cominciato a mettere in pratica tutto quello che ci avevano promesso di non fare. Ma se l’avessero fatto subito, appena arrivati al potere, forse sarebbero stati più efficaci. Invece no, si è dovuto passare attraverso i rimedi omeopatici piuttosto che una terapia d’urto, perché rimanevano ancora alcune scadenze politiche, come le elezioni in Andalusia [nel maggio 2012]. Il governo dell’epoca [quello del primo ministro José Luis Zapatero] ha cominciato ad agire con fermezza solo quando la pressione dell’Europa è diventa molto forte. In entrambi i casi gli interessi politici dei due governi hanno prevalso su quello che imponeva la situazione.

Il risultato è stato una classe politica che ha finito per attirarsi tutte le critiche. Chi dovrebbe essere la soluzione in questi momenti così difficili è di fatto considerato un problema da parte di una popolazione sempre più delusa. Nessuno crede più in nulla e in nessuno. Oggi non ispirano fiducia i politici né gli esperti o i tecnici, né nulla di ciò che fanno le classi dirigenti o le istituzioni la cui autorità era riconosciuta.

Ci troviamo nella peggiore situazione possibile, perché non abbiamo nessuno in cui avere fiducia. E, ancora peggio, nessuno ci dà fiducia. Dall’oggi al domani siamo diventati un paese paria. Noi cittadini ci siamo improvvisamente resi conto di essere soli, questa solitudine e questa impotenza nella quale viviamo portano alla disperazione se non al nichilismo. Nessuna società può vivere senza un futuro, senza sapersi padrona del proprio destino. Quasi tutto è sopportabile tranne la consapevolezza di essere stati ingannati. Ingannati dalla promessa di servizi pubblici diventati troppo costosi, da un modello di sviluppo economico costruito sul nulla, e che trasmetteva una finta immagine di ricchezza; da un’Europa che avrebbe dovuto contribuire a rafforzare la nostra sovranità invece di prenderne il posto. Non ci riconosciamo più allo specchio, anche perché non c’è niente dietro coloro che ce lo presentano.

In ultima analisi abbiamo solo due possibilità: rompere lo specchio, strappare i nostri abiti e sprofondare nella depressione collettiva e diventare un paese di zombie senza scopo. Oppure approfittare delle qualità che abbiamo ancora e che non sono certo poche. Del resto in questo stesso momento, per quanto soli, siamo più uniti che mai. Come diceva bene Borges: “Non è l’amore che ci unisce, ma la paura”. E grazie a Hobbes sappiamo che la passione che spinge a cooperare non è l’altruismo ma il timore.

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Oggi il nostro principale problema è sapere come agire, come trasformare la nostra sfiducia, la nostra perplessità e il nostro scetticismo in un’azione positiva, come trasformare le difficoltà che bisogna affrontare in soluzioni efficaci. Ma per fare questo bisogna definire delle linee di condotta, imparare a distinguere il necessario dal superfluo e trasformare le privazioni e le mancanze attuali in attese per un futuro migliore. È proprio in questo compito che è importante avere una leadership, ma è esattamente quello che ci manca. In questo stesso momento i nostri responsabili non fanno altro che limitare i danni, senza alcuna prospettiva a più lungo termine; mentre i semplici cittadini difendono in piazza quello che viene tolto loro negli uffici. Nella nostra società manca un collante, un elemento che possa riunirci in un progetto collettivo e in grado di ristabilire la fiducia perduta. Possiamo optare per un conflitto autodistruttivo come avviene oggi nella società greca o preferire una coesione più positiva all’islandese; trasformare lo spavento in un trauma paralizzante o in energia creatrice e responsabile. Una scelta che dipende da ognuno di noi.

Contrappunto

Rajoy, tra l’incudine e il martello

“Il governo stretto tra l’incudine dei mercati e il martello della strada”, titola El Mundo all’indomani delle manifestazioni che hanno visto centinaia di migliaia di persone scendere nelle piazze delle principali città spagnole. Contemporaneamente il parlamento approvava le ultime misure del piano di tagli da 65 miliardi di euro annunciato dal primo ministro Mariano Rajoy. Secondo il quotidiano madrileno, Rajoy non ha “alcun margine di manovra per cedere alla pressione”, che non si è allentata nemmeno dopo l’approvazione da parte del parlamento tedesco e di quello finlandese dell’aiuto finanziario al settore bancario (per un ammontare massimo di 100 miliardi di euro). Sul fronte dei mercati la pressione resta altrettanto forte, con lo spread che ha toccato quota 593 punti.

Secondo l’editorialista del quotidiano conservatore Abc José María Carrascal “i tagli sono un incentivo” necessario a risanare l’economia del paese:

I tagli e gli incentivi non sono antitetici. Funzionano insieme. I primi sono la base dei secondi. In altre parole, stimolare l’economia senza tagli al bilancio non serve a niente. Introdurre stimoli moderni in un’economia superata è come gettare acqua su un setaccio. […] La Spagna è un paese sovra-indebitato, sovra-regolamentato, sovra-sovvenzionato e pesantemente zavorrato a tutti i livelli: nazionale, regionale, municipale e finanziario. Prima di tutto dobbiamo liberarci di questo debito, di queste sovvenzioni, di queste limitazioni e della zavorra accumulata in decenni di lassismo fiscale e amministrativo. Dire che abbiamo bisogno soprattutto di incentivi è come dare hamburger e spaghetti a uno che pesa 250 chili.

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