Verso l'Europa. Il terminal dell'Eurostar alla stazione di St. Pancras, Londra

Quei britannici che amano l’Europa

In Gran Bretagna resiste ancora un certo scetticismo verso tutto quello che arriva dal continente. Ma le nuove generazioni stanno cambiando e guardano con sempre maggior interesse agli altri paesi europei.

Pubblicato il 30 Aprile 2010 alle 13:09
Verso l'Europa. Il terminal dell'Eurostar alla stazione di St. Pancras, Londra

In Gran Bretagna non mancano certo gli eurofobi: lettori del Daily Mail e cultori della birra, eternamente sospettosi nei confronti di tutto ciò che è estraneo alle isole britanniche. Negli ultimi tempi, tuttavia, si sta facendo largo una nuova generazione di sudditi di Elisabetta, più in sintonia con le abitudini sociali del resto d'Europa. Quando l'amministrazione Bush cercava consensi per la seconda guerra del Golfo, Donald Rumsfeld coniò la definizione di "nuova Europa". I "vecchi europei" non esitarono a disprezzarla e deriderla, nel tentativo di mostrare un continente più diviso sulla caccia a Saddam di quanto in realtà fosse. In realtà, la definizione conteneva una buona parte di verità. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Polonia e Russia si stanno in qualche modo riconciliando; i paesi dell'Europa centrale e orientale hanno perso l'appetito per le guerre made in Usa; l'amministrazione Obama si è lasciata alle spalle l'abitudine delle "relazioni speciali". I tempi sembrano maturi per seppellire l'ascia di guerra.

Sono passati sei anni dall'allargamento più massiccio della storia dell'Unione europea, e le spaccature nel vecchio continente non sono più drammatiche come un tempo. La "nuova" Europa si mescola con la vecchia, creando un nuovo ceppo di cittadini europei, decisi a ritagliarsi un ruolo di primo piano nella società del presente e del futuro. In qualche modo sta succedendo anche in Gran Bretagna, ossia nell'ultimo posto in Europa dove si pensava potesse accadere. A ben vedere ci sono molte ragioni per dubitarne, ma anche per sperare. Per noi, fossili dell'europeismo, non può che essere un sollievo. Non molto tempo fa mi lamentavo dell'approccio dei miei connazionali alla politica estera britannica. Mi sembrava di vedere una separazione netta tra le fasce d'età, immutabile nel tempo. C'erano quelli che ricordavano la Seconda guerra mondiale ed erano stati testimoni della minaccia del fascismo. C'erano quelli che erano cresciuti nell'oscuro dopoguerra e diventati fanatici della guerra fredda, con un piede dall'altra parte dell'Atlantico e la testa sotto l'ala protettiva della Nato.

Poi siamo arrivati noi, quelli che potrei definire i primi europei. Quelli che hanno rivolto lo sguardo verso un continente libero (almeno per metà) e che hanno viaggiato in lungo e in largo attraverso confini sempre più labili. Il fallimento della mia generazione europeista è dipeso dalla nostra incapacità di coinvolgere le generazioni precedenti. Quando il muro di Berlino è crollato, un'ondata di euforia ha riunito le due metà dell'Europa. Sono arrivate le compagnie low cost e con loro il rito delle vacanze alcoliche a Ibiza e Creta e le masse di ventenni azzoppati dal whiskey in giro per Tallin nei weekend di addio al celibato. Il problema, però, è che i nuovi orizzonti e i piaceri di un'Europa unita non sono mai riusciti a scacciare i sentimenti più ancestrali dei britannici verso l'Unione europea: diffidenza, indifferenza e a volte xenofobia. Le persone della mia generazione sembravano non accorgersi che la loro vita era così facile solo grazie all'idealismo di quelli che avevano lottato per bandire la guerra dall'Europa e avevano lavorato per creare le basi della pace.

Fino a qualche giorno fa si sussurrava che l'euroscetticisimo di David Cameron fosse il suo punto di forza in vista dell elezioni, perché in fondo i britannici la pensano come lui. La tradizionale e imperdonabile spinta europeista dei liberaldemocratici, al contrario, sembrava il punto debole di Nick Clegg. Ho sentito insinuare - ironicamente, ma nemmeno troppo - che lo stile "continentale" del loro leader avrebbe screditato i lib-dem agli occhi dell'elettorato. Clegg ha lavorato a lungo a Bruxelles, è figlio di una olandese e suo padre è di origine russa, è sposato con una spagnola e i suoi figli hanno nomi spagnoli. Tutti elementi che potrebbero minare la sua credibilità agli occhi degli elettori britannici. Tra non molto sapremo dove sta la verità.

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Personalmente, in questo giorni, ho l'impressione che Clegg stia facendo breccia nel cuore di una Gran Bretagna - o almeno la sua parte urbana - che negli ultimi vent’anni è diventata sempre più internazionale. All'inizio c'è stata l'opposizione alla guerra in Iraq, una priorità statunitense che non interessava troppo agli europei. Francia e Germania hanno detto "no, grazie", come un gran numero di cittadini britannici ignorati però dal loro governo. Poi questo ha cominciato a concentrarsi sullo "stato sociale", la protezione dell'impiego, la riduzione dell'orario di lavoro e i diritti civili. Infine è arrivata la crisi, e nel dibattito sulla regolamentazione delle banche l'opinione pubblica britannica si è rivelata più radicale del governo e dell'opposizione, dimostrando una visione più europeista. E la crescita del Pil non è più l'undicesimo comandamento.

La Gran Bretagna è rimasta scottata dalla relazione sentimentale con gli Stati Uniti, durata per ben vent'anni. Adesso è il momento della cotta europeista. Nemmeno la politica sembra essere immune a questo trend. Il recente Green paper sulla difesa ha sottolineato il desiderio del governo di stringere un’alleanza più stretta con Parigi. Potremmo davvero essere di fronte al tramonto dell'euroscetticismo in Gran Bretagna. Se così fosse, la mia generazione potrà almeno reclamare qualche merito : aver contribuito a trasformare degli isolani in europei.

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