Pronti per l’austerity?

Il piano da 750 miliardi approvato a Bruxelles ha permesso all'Europa di guadagnare tempo. Ma nel lungo periodo l'unica via d'uscita è una rigida dieta di sacrifici.

Pubblicato il 11 Maggio 2010 alle 14:18

Gran parte dell'Europa vive al di sopra dei propri mezzi. Il deficit dei governi è fuori controllo e il debito pubblico continua a salire inesorabilmente. Il piano salvaeuro darà una boccata d'ossigeno agli stati dell'Unione, ma dovrà essere utilizzato per riequilibrare i conti. Altrimenti i mercati torneranno a essere pericolosamente instabili. Sfortunatamente i politici e i cittadini d'Europa sembrano assolutamente impreparati ad affrontare il periodo d'austerity che li aspetta.

Qualche tempo fa pensavo sul serio che l'Europa ce l'avesse fatta. Che importava se gli Stati Uniti erano una superpotenza militare e la Cina una superpotenza economica? L'Europa era la superpotenza dello stile di vita. E pazienza se erano passati i tempi in cui gli imperi del vecchio continente dominavano la terra. Andava bene lo stesso, anzi benissimo. L'Europa aveva le città più belle, il cibo e il vino migliori, la storia culturale più ricca, le vacanze più lunghe e le squadre di calcio più forti. La vita per l'europeo medio non era mai stata più comoda di così. Sembrava un piano geniale. Con un solo, grosso problema: l'Europa non poteva non può permettersi la sua pensione di lusso.

La crisi greca, sfortunatamente, non è altro che la manifestazione estrema di un problema più ampio. Un problema di tutta Europa. Per mesi gli investitori hanno osservato con preoccupazione l'indebitamento di Spagna, Irlanda e Portogallo. Ma anche i quattro pilastri dell'Europa - Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia - attraversano un momento di difficoltà. Il debito pubblico dell'Italia è arrivato al 115 per cento del Pil e dovrà calare del venti per cento entro il 2010. In Gran Bretagna il deficit di bilancio è arrivato al 12 per cento del Pil, livello tra i più alti in Europa. George Osborne, che con ogni probabilità sarà il cancelliere dello scacchiere del prossimo governo, ha definito le previsioni ufficiali per l'economia britannica "un'opera di finzione". Il governo francese non ha prodotto un singolo bilancio in pareggio negli ultimi trent'anni. Per quanto riguarda la Germania, poi, c'è un motivo dietro all'ostilità verso l'idea degli aiuti alla Grecia: i tedeschi sanno benissimo che sarà difficile far quadrare i propri, di conti.

Sacrifici oggi o fallimento domani

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Lettonia e Irlanda hanno già ingoiato il boccone amaro dell'austerity, affrontando pesanti tagli di pensioni e salari. Ma irlandesi e lettoni hanno ancora viva nella memoria la povertà del passato e il boom insostenibile che ne è seguito. Sapevano e sanno benissimo che gli ultimi anni di pacchia non potevano durare.

Come dimostra la rivolta di Atene, non tutti gli europei sono pronti a sopportare stoicamente le difficoltà legate alla crisi. I cittadini d'Europa considerano il pensionamento anticipato, l'assistenza sanitaria gratuita e i generosi sussidi di disoccupazione altrettanti diritti fondamentali e intoccabili. Da molto tempo nessuno si chiede chi è che paga per i privilegi dell'Europa. Proprio la confusione tra diritti e privilegi complica parecchio l'attuazione delle riforme. Basta guardare alle ultime elezioni in Gran Bretagna per capire che i politici sono in grande difficoltà quando devono confrontarsi con gli elettori e parlare delle dure scelte che bisognerà fare in futuro.

Se gli europei non accetteranno l'austerity oggi, domani potrebbero avere a che fare con qualcosa di molto peggio, come il collasso bancario o l'insolvenza del debito pubblico. Uno scenario che molti in Europa pensano possa verificarsi solo in America latina. Quando sarà chiaro per tutti che l'Europa mediterranea e anche quella del nord rischiano il completo tracollo finanziario lo shock sarà durissimo.

L'Unione europea ha aumentato le sue dimensioni e il suo potere, ma questo ha generato un pericoloso senso di autocompiacimento. Gli stati del sud e del centro Europa, entrati nell'Unione in un secondo momento, vedono Bruxelles come una polizza assicurativa completa. Dopo l'adesione si sono convinti che non ci sarebbero state mai più guerre, dittature e povertà. Tutti quanti avrebbero potuto vivere la vita comoda e stabile dei francesi e dei tedeschi. Per molti anni ha funzionato. In paesi come Spagna, Grecia e Polonia le condizioni di vita sono migliorate enormemente.

L'assicurazione è scaduta

Ultimamente l'unità dell'Europa è stata venduta come una polizza buona anche per i paesi fondatori dell'Unione. Il presidente francese Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno insistito entrambi sul ruolo "protettivo" dell'Europa unita. L'idea, insomma, era che l'Unione dei 27 fosse grande e solida abbastanza da difendere il modello sociale europeo dai rischi della globalizzazione.

Ad un livello base, in effetti, la Ue ha un ruolo protettivo. Ma se gli europei non hanno più motivo di temere gli eserciti stranieri, oggi devono avere paura dei barbari armati di bond. L'esistenza dell'Europa come "superpotenza dello stile di vita" è dipesa da un'ampia disponibilità di credito. Il piano salvaeuro, in sostanza, non fa che concedere un altro gigantesco credito ai governi che ne avranno bisogno. Nonostante il gran parlare di solidarietà paneuropea, però, la linea intrapresa inasprirà i già difficili rapporti interni alla Ue. In Grecia monta la rabbia per la "perdita della sovranità". In Germania si parla solo del costo degli aiuti agli "smidollati" europei del sud. La settimana scorsa discutevo con un rispettato membro del governo dell'Unione. Mentre parlava delle provocazioni tra greci e tedeschi si portava le mani ai capelli, preoccupato di come la crisi avesse messo i due popoli l'uno contro l'altro. Ha detto che questo è il punto più vicino alla guerra che si può raggiungere nell'Europa moderna. Spero che abbia ragione.

Intanto però è tempo che le persone capiscano che il "progetto Europa" non le proteggerà dal mondo esterno. Le cose possono ancora andare male, malissimo. Anche all'interno del giardino fortificato dell'Unione europea. (as)

Opinione

Il dogma dell’euro

"Atene ha la polmonite, ma anche Wall Street tossisce", osserva su Lidové noviny il consulente finanziario Pavel Kohout. La Grecia, che rappresenta solo il 2,5 per cento del Pil dell'Ue, ha messo in pericolo i mercati finanziari di tutto il mondo. Ma per evitare che la crisi greca si diffonda e si aggravi, Kohout ritiene che l'Ue avrebbe dovuto lasciar fallire la Grecia e farla uscire dalla zona euro.

"Se i rappresentanti dell'Ue avessero detto fin dall'inizio che si trattava di una questione interna della Grecia e che la zona euro sarebbe sopravvissuta al fallimento di uno dei suoi membri, l'effetto di risanamento sarebbe stato lo stesso, perché gli altri paesi sarebbero stati più attenti a mantenere il in equilibrio loro sistema finanziario", constata l'esperto.

"Con la fuoriuscita del suo membro più debole, l'euro avrebbe potuto riconquistare la fiducia" dei mercati, pensa Kohout. La Grecia in questo modo avrebbe potuto gestire la crisi svalutando la sua moneta, iniziativa che sarebbe stata "la misura più semplice e necessaria per la ripresa della sua crescita economica". Ma "la Grecia non può lasciare l'euro", constata Kohout, che sottolinea che la zona euro è diventata "un dogma", e la sua vulnerabilità un vero e proprio "tabù politico". Così la Grecia si trova costretta ad accettare tutte le "dolorose" misure di austerità imposte dall'Ue.

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