Incultu, rappresentante della Lituanie all'edizione 2010 di Eurovision, a Bærum (Norvegia).

Eurovision, l’integrazione in diretta

Il festival della canzone europea non è solo un monumento al kitsch. È un'occasione unica per conoscere il vero volto dei paesi più oscuri del continente.

Pubblicato il 28 Maggio 2010 alle 15:00
Incultu, rappresentante della Lituanie all'edizione 2010 di Eurovision, a Bærum (Norvegia).

Eurovision è il mio ignobile segreto. So che non dovrebbe piacermi, ma non posso farci nulla. Non resisto. È l’equivalente televisivo di un’abbuffata in un fast food. In seguito ti rendi perfettamente conto che è impossibile esserne soddisfatti – i risultati sono influenzati dall'interesse politico – ma a volte è proprio quello di cui hai bisogno.

Così, con autentiche ed entusiastiche aspettative, mi sono preparata a sintonizzarmi sulle avvincenti semifinali, accumulando drink e snack per le finali di sabato. Questa settimana farò il pieno di Eurovision, malgrado (o forse proprio a causa di) l’eccesso di jeans bianchi attillati in modo scandaloso e gli assolo di chitarra. Se Eurovision avesse un volto umano, sarebbe quello di Starsky. Forse quello di Hutch.

Ridicolizzato come una Chernobyl della cultura, l’Eurofestival della Canzone è un irresistibile argomento a sfavore di una maggiore integrazione europea. Io dico che è uno spettacolo e che non ha mai mancato di farmi ridere. E le ragioni per ridere, di questi tempi, sono davvero rare. Alcuni paesi l’hanno preso più seriamente di altri, naturalmente, ma sotto sotto mi sa che tutti vogliano portarsi a casa il trofeo. Vincere, in ogni caso, non è possibile senza una collaborazione tra vicini.

Sarebbe un’esagerazione definire questo concorso uno spazio per la risoluzione dei conflitti, ma il punteggio dispari che viene contrattato tra gli stati in lizza è un primo passo nella direzione giusta. Meglio scontrarsi sul tabellone che sul campo di battaglia, anche se l'agonismo nazionalistico può sfociare in ostilità. È quanto è accaduto l’anno scorso, per esempio, tra Armenia e Azerbaijan, in una baruffa esplosa per un monumento rimosso da un filmato armeno dopo le proteste dell’Azerbaijan. L’Armenia ha reso pan per focaccia mostrando l’immagine insieme ai risultati della propria giuria.

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E chi può dimenticare l’anno in cui vinse Israele, ma la Giordania si rifiutò di accettare il verdetto e dichiarò vincitore il Belgio, secondo classificato? Buona parte di queste lotte interne oltrepassa i confini d’Europa, mentre noi ci concentriamo sulla pacchianeria e sulla lunghezza delle gonne. La Polonia ci ha fornito anche quest’anno l’immancabile esibizionista. Finora non c’è stata ancora nessuna donna che abbia fatto la spaccata all’interno di una ruota da criceti gigante, pezzo forte del 2009, ma c’è ancora tempo.

A parte il divertimento di assistere a una simile preziosa profusione di performance di cattivo gusto, kitsch e dozzinali, lo spettacolo funge da gigantesco periscopio sull’Europa. È un'occasione per osservare attentamente i paesi con i quali abbiamo rapporti. Non sarà un’autentica rappresentazione dell’Europa dal punto di vista culturale, ma tiene in esercizio la nostra memoria sui numerosi stati che ormai figurano sulla cartina in costante evoluzione del nostro continente. L’Europa è molto diversa dell’immagine mentale che ne abbiamo.

La crisi greca, nello specifico, è un monito sull’interdipendenza dell’Europa. Quando un paese della zona euro si ritrova nei guai, il resto d’Europa inizia a tremare. Il concorso ci mostra il volto – e talvolta anche il petto villoso – dei nostri alleati. A proposito: la Grecia ha mandato a Oslo un pezzo molto orecchiabile, forse per espiare tutte le difficoltà che sta creando.

Ogni paese ha una sua voce riconoscibile, ma non lo si deduce necessariamente sintonizzandosi su Eurovision. Dal punto di vista musicale, un paese spesso si confonde con l'altro. Eurovision sembra incrementare l’omogeneità, una visione standardizzata del pop. Si prendano la Bosnia-Erzegovina o la Moldavia, per esempio: non è che nei brani rock che hanno presentato ci fosse un segno evidente del loro patrimonio culturale.

I detrattori di Eurovision lo definiscono un esercizio di mediocrità, ma il giudizio di merito sui contributi musicali non è l'importante. Malgrado gli errori e tutto il resto, Eurovision riesce di fatto a unire l’Europa in modo più efficace di una valanga di direttive Ue e di politiche di integrazione. (ab)

Analisi

L'amore vince sempre

Dopo aver studiato la struttura linguistica delle canzoni vincitrici dell'Eurofestival fin dalla prima edizione, la Bbc ha tirato le proprie conclusioni: "La caratteristica più evidente è la presenza costante di parole delicate, come ad esempio "love". Per puntare alla vittoria una canzone dovrebbe avere un titolo come 'Oh, just let me love you'". Stando alla Bbc, quindi, la favorita dell'edizione 2010 è la tedesca Lena: nella sua Satellite la parole "love" è ripetuta almeno 26 volte.

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