Non è il momento del federalismo

In Germania diverse forze politiche sembrano favorevoli a cedere sovranità a Bruxelles in nome degli Stati Uniti d’Europa. Ma prima di parlare di grandi progetti bisognerebbe superare l’emergenza della crisi.

Pubblicato il 6 Settembre 2012 alle 10:07

Mentre si assiste all'ultimo round della crisi dell'euro, il mondo politico tedesco sembra particolarmente interessato a discutere del futuro dell'Europa. I socialdemocratici e i Verdi chiedono la comunitarizzazione del debito europeo, accompagnata da un'unione bancaria e fiscale. In altre parole vorrebbero cedere a Bruxelles la sovranità statale sul bilancio. La Cdu di Angela Merkel si dice favorevole a un'unione politica dell'Europa - anche se non è ben chiaro cosa significhi esattamente. E visto che questo cambierebbe profondamente la costituzione, la Cdu chiede anche un referendum, possibilmente rapido.

E al tempo stesso graduale, vorremmo aggiungere. In effetti l'Unione europea è mal preparata alle tempeste del mondo globalizzato. In questa grave crisi finanziaria la sua struttura politica si è rivelata inadatta e instabile. Ma prima di sacrificare precipitosamente il cuore della nostra sovranità nazionale, sarebbe bene chiedersi se esiste un altare sul quale sacrificare qualcosa.

Al di là delle frontiere tedesche nessuno stato né popolo europeo sarebbe pronto a rinunciare alla sovranità nazionale e a fare il passo verso uno stato federale europeo. E del resto non è neanche sicuro che gli stessi tedeschi siano disposti ad abbandonare la loro sovranità. Invece di avvicinare i popoli europei, questa crisi non ha fatto che renderli più scettici nei confronti del progetto europeo.

Sette anni fa il progetto di costituzione europea, che non toccava quasi per nulla la sovranità nazionale, è miseramente fallito con i referendum francese e olandese. Un accordo che ridurrebbe le nazioni europee a degli stati federati sarebbe sicuramente destinato allo stesso destino.

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Ma i desideri non possono mascherare la realtà. Anche se si riuscisse a convincere alcuni popoli ad affidare gli elementi chiave della loro sovranità a un'autorità centrale europea, la nuova Europa sarebbe più piccola, molto più piccola di quella attuale. Alcuni paesi seguirebbero il Regno Unito e abbandonerebbero la nave. In questo caso si sarebbe creato un piccolo nucleo di Europa probabilmente non abbastanza grande per avere un peso politico nel mondo.

È comprensibile che il desiderio di riformare in modo radicale l'Europa guadagni terreno proprio in Germania. Ma questo desiderio non è affatto saggio. E proprio perché la crisi attuale è più estesa e profonda delle precedenti, dobbiamo guardarci dall'illusione di una soluzione miracolosa.

Una comunitarizzazione del debito potrebbe tranquillizzare i mercati sul breve periodo, ma non stabilizzerebbe l'Ue a lungo termine. Le turbolenze della moneta unica non sono la causa, ma la conseguenza del vero problema dell'Unione europea: la mancanza di fiducia. L'Ue non riesce a convincere né il mondo né i suoi stessi cittadini di essere forte e affidabile, perché in essa grande è la confusione e troppe sono le divergenze. Non solo sulle questioni economiche e finanziarie, ma anche in materia di politica estera e di sicurezza. L'Europa non ha ancora convinto il resto del mondo di essere realmente e irreversibilmente cresciuta.

Una riforma precipitosa sarebbe insoddisfacente. Non farebbe che accentuare la diffidenza che l'Europa ispira, tanto più che è proprio la Germania a chiedere questa riforma. Il dibattito deve assumere un carattere più pacato. Gli stati, e in primo luogo quelli poco favorevoli alla riforma, devono cominciare con il dire come immaginano l'Europa del futuro e quali poteri dovrà avere. La risposta a questa domanda fondamentale, quella dell'identità dell'Europa, non deve essere il frutto del panico prodotto dalla crisi.

Per aiutare l'Europa bisogna smettere di fantasticare e immaginare grandi soluzioni. La crisi e la questione della forma dell'Ue possono essere risolte solo in quest’ordine. Bisogna prima di tutto risolvere la crisi dell'euro, con l'esclusione - se necessario - della Grecia e con un intervento massiccio della Banca centrale europea. Solo quando la paura sarà passata, gli stati e i popoli dell'Ue troveranno abbastanza calma per poter mettersi d'accordo sulle finalità dell'Europa.

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