I segreti di Francoforte

L'Unione si appresta a varare il meccanismo di protezione per i paesi più deboli della zona euro. Ma la mancanza di trasparenza che circonda le sue istituzioni finanziarie non è ancora stata risolta.

Pubblicato il 7 Giugno 2010 alle 15:40

È possibile che l’Unione Europea questa settimana faccia qualcosa di giusto: i ministri delle finanze potrebbero raggiungere un pieno accordo sui dettagli del meccanismo che dovrebbe proteggere i membri più vulnerabili della zona euro.

L’incertezza sulla portata di questo dispositivo speciale ha contribuito la settimana scorsa a mettere in subbuglio i mercati delle capitali europee. Altra fonte di instabilità sono state le notizie riportate dai media tedeschi, secondo i quali le banche francesi stavano per rifilare alla Banca Centrale Europea ingenti patrimoni in bond greci. Non si sono trovate conferme attendibili, ma neppure smentite, e di conseguenza il sospetto ha continuato ad aleggiare, rallentando il funzionamento dei mercati per parecchi giorni.

La prima causa del moltiplicarsi degli spread dei bond sovrani è stata quindi una mancanza di comunicazione. I mercati non sarebbero andati nel panico se la Bce avesse fornito qualche informazione dettagliata sugli acquisti delle obbligazioni, o se i ministri delle finanze dell’Ue avessero comunicato con chiarezza quali elementi del dispositivo di intervento avevano approvato e quali no. In assenza di ulteriori dettagli la gente pensa sempre al peggio, e così è avvenuto anche la settimana scorsa.

La trasparenza non è una di quelle cose in cui l’Ue e la Bce in particolare eccellono. È invece giunta l’ora che la Bce ci dica con chiarezza che cosa acquista e come intendono votare i suoi membri. Secondo le informazioni in mio possesso, soltanto il presidente della Bundesbank Axel Weber ha votato contro il programma di acquisto dei bond da parte della Bce. In ogni caso, non è stato l’unico a sollevare dubbi e interrogativi durante le discussioni. Ho sentito anche altri riferire, in modo meno attendibile, di diverse modalità di voto. Chi ha ragione, dunque? Il nocciolo della questione, però, è che non dovremmo porci simili interrogativi.

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Esistono molte valide ragioni per auspicare una maggiore trasparenza, requisito fondamentale per risolvere una crisi di enorme portata come quella attuale. La Bce ha avuto la sua bella crisi, per ora, ma tenere per sé informazioni importanti è da irresponsabili ed è teoricamente anche molto pericoloso. Il dibattito sulla trasparenza non è nuovo: ricordo di averne già scritto nel 1998. Da molti anni gli osservatori affermano che il patto di crescita e stabilità che governa i membri della zona euro non resisterebbe neppure a una tempesta di media entità, che le sanzioni non assolvono al loro scopo, che ci servono sistemi adeguati di gestione della crisi, che abbiamo bisogno di criteri diversi per l’ingresso nella zona euro e che è fondamentale che ci sia grande trasparenza da parte della banca centrale. Ma nulla di tutto ciò si è mai concretizzato.

Occasioni perdute

La Bce ha cercato di bloccare sul nascere qualsiasi dibattito sulla trasparenza, affermando che avrebbe esposto i membri del consiglio a indebite pressioni in patria. Gli osservatori della Bce si sono quindi trasformati in cremlinologi, e hanno cercato di fare costantemente supposizioni su ciò che la Bce pensava, più che su ciò che essa diceva. Si è parlato di teorie, complotti e cospirazioni. E quando la crisi finalmente è arrivata, l’eccesso di riserbo ha dato adito a ipotesi velenose, che a loro volta hanno esacerbato i problemi.

L’Ue ha sprecato la grande occasione di dare una risposta a tutti questi problemi nel 2003, durante la convenzione costituzionale che ha portato alla stesura del trattato di Lisbona. Adesso ha una seconda occasione, ma non sembra darsene pensiero: io invece metterei la trasparenza e la responsabilità della banca centrale proprio in cima all’agenda. Non sto mettendo in discussione l’indipendenza della Bce, ma questa dovrebbe essere quanto meno tenuta a pubblicare l’esito delle votazioni in occasione dei suoi meeting, senza dover identificare coloro che hanno votato. Idealmente, in realtà, dovrebbe andare fino in fondo e dare un volto a ogni voto.

All’inizio dell’unione monetaria avevo accettato l’idea che i governatori delle banche nazionali avrebbero potuto essere messi sotto pressione votando nell’interesse dei loro paesi. Ma a distanza di dieci anni tale tesi è difficile da sostenere. Se così fosse potremmo benissimo chiudere i battenti.

Anne Sibert, docente di economia al Birkbeck College di Londra e membro esterno della commissione sulla politica monetaria della Banca Centrale d’Islanda, afferma che esisterebbero due tipi di responsabilità, quella formale e quella sostanziale. La seconda prevede la possibilità di una sanzione qualora si fallisca nel perseguirne lo scopo. La Bce non è neppure tenuta a rispondere del proprio operato.

Scrive Sibert: "Perché vi sia più responsabilità formale, la Bce deve essere trasparente. In altri termini, deve informare i cittadini dell’Ue sulle sue iniziative, sulle sue decisioni e soprattutto spiegare come le ha prese. Purtroppo, invece, la Bce – notoriamente non trasparente nel modo di gestire la politica monetaria – si sta dimostrando ancor meno trasparente nel ruolo di stabilizzatore finanziario". Nel caso dell’acquisto di bond, quando la Bce diventa un attore semi-fiscale, l’opinione pubblica ha il diritto di essere informata non soltanto su quanti, ma anche su quali bond ha acquistato la Bce.

Il problema della mancanza di trasparenza non è limitato alla Bce: vale anche a Bruxelles. Il dibattito sulla governance, sotto la leadership diel presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy, è tanto segreto quanto un meeting del consiglio della Bce. Tutta questa segretezza, tutto questo riserbo, dà adito a una ridda di ipotesi, che ha come risultato quello di innescare smentite e dinieghi, e di conseguenza di spegnere sul nascere un vero dibattito. La mia impressione è che gli attuali colloqui a Bruxelles e Francoforte siano primariamente incentrati su Bruxelles e Francoforte, e non su come trovare soluzioni sostenibili. Per quelle sarà necessaria una crisi molto, molto più grave. E probabilmente l’avremo. (ab)

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