Una costituzione per il ventunesimo secolo

I leader europei stanno preparando un nuovo progetto per l'Unione. Ma se vogliono evitare il ripetersi del fiasco della costituzione del 2005 potrebbero trarre ispirazione dal Sudafrica del dopo-apartheid.

Pubblicato il 5 Ottobre 2012 alle 15:30

Sull’Europa aleggia uno spettro: il ricordo dei referendum nazionali che nel 2005 bocciarono la costituzione dell’Ue ha indotto le leadership politiche a reagire all’attuale crisi con provvedimenti di emergenza che non richiedono alcuna approvazione popolare.

Tuttavia le soluzioni sul lungo periodo esigono una legittimazione democratica. Il presidente della commissione José Manuel Barroso è arrivato ad auspicare una federazione di stati nazione. Il tedesco Guido Westerwelle, insieme ad altri otto ministri degli esteri, di recente ha proposto alcune riforme sostanziali che potrebbero portare a un’Europa a due velocità, a patto che una maggioranza qualificata di stati membri l’approvi, e il nuovo trattato li vincolerebbe anche se gli altri stati non fossero d’accordo. Simili riforme radicali non possono essere attuate senza il consenso popolare.

La democrazia diretta è sempre un rischio: l’Europa non dovrebbe ripetere gli errori organizzativi che nel 2005 portarono al fallimento. La convenzione costituzionale produsse all’epoca un testo di 350 pagine redatto in ostici termini legali che lasciarono perplessi e confusi gli elettori. Quel che è peggio, non si fece niente di concreto per incoraggiare i cittadini a riflettere seriamente sull’importanza della loro scelta. C’è poco da stupirsi, quindi, se il dibattito nazionale fu in buona parte influenzato da questioni politiche contingenti.

Questa volta l’Europa dovrebbe seguire l’esempio dell’esperimento sudafricano che in tre fasi portò alla creazione di una costituzione. Nella prima fase i promotori cercarono semplicemente di delineare una dichiarazione sui principi di base. Soltanto in seguito redassero un lungo testo in termini strettamente legali che descriveva il nuovo contratto sociale. Infine, spettò alla corte costituzionale del Sudafrica confermare che quelle prolisse e complesse formule legali erano effettivamente conformi ai principi ispiratori.

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Volendo tradurre tutto ciò in termini europei, il progetto dovrebbe seguire i trattati attualmente in vigore e organizzare una convenzione in rappresentanza dei parlamenti nazionali ed europeo, con la partecipazione dei capi di stato e di governo e della Commissione europea. Questa assemblea dovrebbe poi dedicarsi alla formulazione di principi costituzionali chiari e comprensibili, che una conferenza intergovernativa dovrebbe in un secondo tempo esaminare e rivedere.

Tale dichiarazione di principio, per esempio, potrebbe esplicitare i poteri generici più ampi concessi all’Unione, senza includere però un elenco dettagliato delle competenze; stabilirebbe i principi di rappresentanza all’interno delle istituzioni europee, senza precisare le regole del voto. Seguendo poi la recente proposta avanzata dai ministri degli esteri, indicherebbe anche quanti membri dell’Ue dovrebbero ratificarla prima che il trattato finale diventi effettivamente operativo tra le parti consenzienti.

La prima fase si concluderebbe quando ogni stato membro avrà accettato o rifiutato esplicitamente la dichiarazione di intenti tramite referendum o decisioni del parlamento, in conformità alle singole carte costituzionali. La natura di fondo dei principi sarà particolarmente importante in paesi quali la Francia (sicuramente) e la Germania (probabilmente), che sceglieranno la via dell’approvazione diretta e democratica.

Niente cospirazioni

Gli avversari nazionalisti non potrebbero più accusare un trattato astruso di essere parte di una grande cospirazione burocratica. Gli elettori dovrebbero fare fronte alle proprie scelte in termini chiari e razionali, con la possibilità di dichiararsi favorevoli o contrari, e sarebbero meno soggetti a cadere nelle maglie della demagogia populista. L’attenzione particolare data ai principi di fondo aiuterà oltretutto i vari paesi a discutere della necessità di emendare le proprie costituzioni nazionali (come potrebbe accadere in Germania).

Quando si svolgeranno i referendum, i cittadini potranno eleggere anche i rispettivi rappresentanti nazionali per la convenzione della seconda fase, che dovrebbe mettere a punto il testo finale. Tenuto conto che candidati rivali assumerebbero posizioni diverse sulla dichiarazione dei principi, un loro dibattito potrebbe aiutare l’elettorato a comprendere meglio le questioni di base sollevate dal referendum. E se la cittadinanza si esprimerà per un “sì”, la selezione popolare dei delegati creerà un ulteriore legame democratico con il documento finale, accrescendone la legittimità.

La seconda convenzione non sarà libera di abusare del proprio mandato popolare discostandosi dai principi fondamentali, ma dovrà al contrario sottoporre il proprio operato a una corte speciale che ne garantirà la conformità. Il presidente della corte europea di giustizia presiederà un tribunale del quale faranno parte i giudici delle più alte corti di ciascuno stato membro. Questo tribunale avrà il compito di garantire la conformità del testo finale ai principi costituzionali espressi dagli elettori. Questo controllo giuridico finale dovrebbe conferire al nuovo trattato costituzionale una legittimità sufficiente per entrare in vigore senza un ulteriore giro di ratifiche da parte dei singoli stati membri. E oltretutto ridurrà il rischio di future azioni legali contro la nuova Unione davanti ai tribunali nazionali.

L’Europa si trova davanti a una scelta epocale: le leadership politiche non possono garantire un risultato positivo, ma hanno l’enorme responsabilità di predisporre un sistema che ponga le domande chiave con modalità che consentano di prendere una decisione proficua e deliberatamente democratica. Questa procedura in tre fasi potrebbe concludersi in un arco ragionevole di tempo e costituire la premessa solida e democratica per un’unione pronta ad affrontare le sfide del XXI secolo.

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