Stop all’emancipazione

Per anni considerata all'avanguardia nella lotta alla discriminazione femminile, la Svezia sembra aver abbandonato gli sforzi. Con l'avvicinarsi delle elezioni nessun partito è disposto a compromettersi su un argomento spinoso.

Pubblicato il 25 Giugno 2010 alle 14:59

La "legge sulla parità dei sessi" si è spenta il primo gennaio 2009, dopo 28 anni di vita. Per decisione del parlamento svedese è stata sostituita, insieme ad altri sei testi contro le discriminazioni, da una legge comune.

Il governo svedese intendeva semplificare la normativa contro la discriminazione, un terreno sul quale la Svezia è ancora indietro rispetto agli Stati Uniti e al resto d'Europa. Tuttavia la nuova legislazione, che non prevede più una promozione diretta del ruolo della donna, implica un approccio diverso. Lo scopo della legge sulla parità dei sessi era definito in modo chiaro: "migliorare la condizione della donna nella sfera professionale". Questo obiettivo non compare più nel nuovo testo. L'analisi obbligatoria dei salari per individuare eventuali disparità retributive tra i sessi, fino a oggi ripetuta con cadenza annuale, sarà effettuata solo una volta ogni tre anni e riguarderà un numero minore di imprese.

Nonostante la Svezia sia uno dei paesi più egualitari del mondo e tutti i partiti presenti in parlamento si dichiarino femministi (con l'eccezione dei cristiano-democratici e dei moderati), negli ultimi venticinque anni sono state prese poche decisioni politiche importanti a proposito della parità dei sessi. Nella campagna elettorale per le elezioni legislative e regionali previste in Autunno, né da destra né da sinistra è arrivata la proposta di una riforma di ampio respiro per quanto riguarda la parità. Vuol dire forse che uno degli ultimi grandi progetti sociali della nostra epoca è arrivato al capolinea?

Per anni la Svezia è stata un paese all'avanguardia. Gli anni settanta sono stati l'età dell'oro dell'uguaglianza. Dopo l'introduzione del diritto di maternità è stato istituito anche il congedo parentale. È stata eliminata l'imposta comune per gli sposi e adottata una nuova legge sull'aborto. Gli asili nido si sono moltiplicati e i genitori con figli piccoli hanno guadagnato il diritto alla giornata lavorativa di sei ore.

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In seguito i miglioramenti sono diventati sempre più rari ed è cambiata la natura del dibattito. Negli anni ottanta e novanta l'accento si è spostato sulla presenza delle donne nel mondo politico, istituzionale e imprenditoriale. Negli ultimi anni invece si è parlato soprattutto di fermare la violenza sulle donne e in modo particolare i reati passionali, ma anche di inasprire le pene per i crimini sessuali. Tuttavia questo tipo di politica si è appoggiato alla lotta contro l'illegalità più che alla promozione della parità dei sessi. Oggi le decisioni che hanno un impatto sulla vita quotidiana dei cittadini e sul potere e l'influenza di genere nella società brillano per assenza.

Atteggiamento patriarcale

Nel dibattito attuale c'è un'iniziativa che si distingue dalle altre. La riforma del sistema assicurativo parentale, che comprende il congedo parentale e la riduzione della giornata lavorativa, ha come obiettivo quello di spingere gli uomini ad approfittare di più dei loro diritti. Ma la questione è controversa. Secondo uno studio realizzato dal sindacato Unionen nel 2008, il 40 per cento dei 4.400 cittadini intervistati preferiva conservare il sistema in atto. La maggioranza delle persone favorevoli al cambiamento, inoltre, precisavano di voler restare "completamente liberi" di scegliere chi dovesse restare a casa, senza vedere ridotta la propria libertà. Ogni tanto torna in auge la discussione sul diritto al tempo pieno, presentato dalla sinistra come una causa femminista, dato che la maggior parte delle donne lavora part time. Ma in ogni caso è difficile che l'argomento venga cavalcato fino in fondo.

Perchè non si propongono grandi riforme? Una risposta è che al giorno d'oggi uomini e donne hanno le stesse possibilità, per quanto si possa ancora discutere sulla loro effettiva libertà di scelta. D'altro canto i politici sono ben coscienti che la politica familiare è un terreno dove avventurarsi è molto pericoloso.

"Se l'uguaglianza non figura tra le priorità di questa campagna elettorale è perché tra i partiti politici tradizionali si nota un atteggiamento patriarcale, secondo cui l'uguaglianza è una questione accessoria", afferma Gudrun Schyman, portavoce di Feministiskt initiativ (iniziativa femminista). La Schyman fa un paragone con il partito ecologista e la sua difficoltà iniziale a imporre il tema dell'ambiente, prima che fosse adottato progressivamente da tutti i partiti rappresentati in parlamento.

Ci sono molte spiegazioni del fatto che i partiti stentino a integrare la parità dei sessi nel loro progetto politico. Ad esempio, per un partito un tempo dominante come quello socialdemocratico, praticamente un partito di stato, era più facile imporre una politica fondata su convinzioni ideologiche, senza doversi preoccupare dell'opinione pubblica a breve termine. Oggi però la situazione è cambiata. Le formazioni politiche sono più opportuniste, e la parità è diventata un argomento rischioso dove c'è molto da perdere e poco da guadagnare. Proprio per questa ragione la coalizione di destra, piuttosto inesperta in materia, si è impegnata nella speranza di coinvolgere le elettrici, meno numerose che a sinistra.

Quanto a Gudrun Schyman, resta convinta che Feministiskt initiativ ricalcherà il percorso dei Verdi, e che alla fine tutte le formazioni politiche saranno costrette a prendere posizione sul tema della parità dei sessi. (traduzione di Andrea Sparacino)

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