Place du Châtelain a Ixelles, punto d'incontro dei giovani espatriati

Come un francese a Bruxelles

Non solo i miliardari si trasferiscono in Belgio: sempre più giovani laureati varcano il confine attratti da un mercato del lavoro meno affollato, dai bassi prezzi degli affitti e dalle migliori condizioni di vita.

Pubblicato il 18 Ottobre 2012 alle 11:27
Place du Châtelain a Ixelles, punto d'incontro dei giovani espatriati

Bernard Arnault vuole trasferirsi in Belgio? Non è il solo. Anche molti francesi meno fortunati e un po' più giovani si accalcano sul treno Parigi-Bruxelles. E al contrario "dell'uomo più ricco di Francia", questi giovani sperano di emigrare per pagare le tasse, perché significherebbe che hanno trovato un lavoro.

"Un numero crescente di giovani francesi sono tentati di trasferirsi all'estero e in particolare nel Belgio francofono, per cominciare la loro vita professionale", spiega Eric Verhaeghe, autore di Faut-il quitter la France? Il motivo di questo esilio? "Per loro il mercato francese del lavoro è sempre meno interessante".

Il numero di francesi che si sono trasferiti nella regione Bruxelles-capitale è in continuo aumento. L'istituto di statistica e di analisi di Bruxelles ne contava 50mila nel 2010, rispetto ai 34mila di dieci anni prima. Nel 2011 il numero di francesi iscritti nel registro belga è aumentato dell'8,1 per cento, il terzo più forte aumento in Europa occidentale dopo la Svizzera e il Regno Unito. In questa diaspora gli esiliati fiscali sono una minoranza, sarebbero solo il 2 per cento dei circa 250mila francesi che vivono in Belgio.

Ma quanti sono questi giovani laureati? "Ci vorrà del tempo prima che le statistiche mettano in mostra questo fenomeno", riconosce Verhaeghe. Ma anche se le cifre dicono poco, la transumanza degli studenti francesi verso il Belgio "è logicamente cresciuta con la costruzione europea e con lo sviluppo di progetti come l’Erasmus, e la moneta unica la ha facilitata. Il numero di studenti francesi in Belgio è raddoppiato rispetto al passato e negli anni migliori ha raggiunto le 10mila unità ". Nel 2009 il governo belga ha anche tentato di adottare delle misure per limitare questi flussi, ma sono poi state giudicate incompatibili con il diritto comunitario.

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Un altro tipo di mobilità, strettamente professionale, mostra il dinamismo dell'asse franco-belga: il Vie (Volontariato internazionale in impresa), il principale programma di inserimento professionale all'estero per i giovani sotto i 28 anni. Per i ragazzi francesi "il Belgio è la terza destinazione del programma Vie in Europa (dopo il Regno Unito e la Germania) e il quinto nel mondo", sottolinea Ubifrance.

Cosa motiva questi giovani laureati, impauriti dal contesto francese? Un insieme di stanchezza e di preoccupazione di fronte alla precarietà che si vive in Francia nonostante i diplomi, e la voglia di andare altrove, verso un paese considerato più semplice e accogliente.

Questi ragazzi vogliono andare via da un mercato del lavoro giudicato ostile e chiuso. Sull'esempio di Louise, 25 anni, laureata a Sciences-Po. Dopo aver tentato di trovare qualcosa a Parigi, dove ha fatto "un'esperienza stressante, tutto il tempo passato fra metropolitana e lavoro, oltre alle pressioni esercitate sui neoassunti", la ragazza ha deciso di andare a Bruxelles. "Il trasloco giovedì, la firma del contratto venerdì. Tutto è stato molto veloce".

Un mercato del lavoro più accessibile? "Il Belgio è a i vertici europei per quanto riguarda l'offerta di lavoro", osserva un esperto di Pôle emploi international. Tuttavia per alcuni settori i problemi nella ricerca di lavoro sono simili alla Francia.

Altro criterio importante: il sistema è più flessibile e la rete di contatti più accessibile. Come testimonia Ninon, 27 anni, laureata in design industriale a Parigi e trasferitasi a Bruxelles da un anno. "Ho cercato lavoro a Parigi ma non ho trovato nulla. Ho cercato di fare degli stage, ma era impossibile perché non ero più studentessa. Così dopo sei mesi ho scelto di andare a Bruxelles, dove sono più flessibili". Come stagista la situazione non è tutta rose e fiori (lo stipendio è basso e il lavoro a tempo determinato), ma almeno a Bruxelles gli stage assomigliano a degli stage "e non a del lavoro mascherato come a Parigi". "Qui puoi arrivare senza un'esperienza particolare, il tuo compito è imparare; e poi in poco tempo lavori su progetti interessanti, al contrario a Parigi bisogna prendere il numero come in macelleria e aspettare il tuo turno per avere dei compiti importanti".

Anche costruire la propria rete professionale sembra più accessibile. In altre parole se l'occupazione rimane comunque il sacro Graal, lanciarsi da soli fa meno paura. "Qui in campo artistico la gente si butta molto più che a Parigi", spiega Ninon.

Inoltre Bruxelles offre opportunità di carriera per un numero sempre più grande di profili professionali. Per Sophie, 26 anni, appena laureata a Parigi all'Ehesp in sanità/ambiente, è quasi un passaggio obbligato: "L'80 per cento della legislazione in materia ambientale nasce qui. Bisogna essere presenti, quanto meno per coltivare la propria rete di conoscenze".

A Bruxelles anche la pressione economica è meno forte. Secondo lo studio internazionale sul costo della vita fatto nel 2011 da Mercer, Bruxelles è al 62° posto dietro Bratislava o Atene, mentre Parigi si colloca al 27° posto. C’è anche il problema dell'alloggio, che ha motivato molti dei francesi venuti qui. Secondo la classifica europea del 2011 delle città con gli affitti più cari, Parigi (sesta) non può certo competere con Bruxelles (al 26° posto). "Con 380 euro di affitto condivido un casa con giardino, polli e orto!", spiega Ninon. "E a cinque minuti da Flagey, quartiere giovane, alla moda e multiculturale". A Parigi a quel prezzo è difficile trovare anche un monolocale.

Insomma, il lavoro come obiettivo, la casa e il costo della vita come effetto di opportunità e, ciliegina sulla torta, una qualità della vita decisamente migliore. Bassa densità abitativa, spazi verdi, cultura meno elitista e più accessibile che a Parigi.

I belgi non sono di certo estranei a questa emigrazione, perché godono di una buona reputazione. Ma adesso la popolazione locale comincia a lamentarsi dei francesi, che fanno salire i prezzi, e in particolare dei parigini, che non sono visti bene dalla stampa. Mica scemi, i belgi.

Fisco

La grande fuga dei capitali

C’è chi si trasferisce in Belgio e c’è chi parte. È il caso di diverse multinazionali, che temono “di vedere ridotti i loro vantaggi fiscali”, scrive Le Monde. Tra esse c’è il gruppo siderurgico Arcelor Mittal, che ha ritirato “dalla sua banca interna con sede in Belgio 37 miliardi di euro”, gran parte dei quali sarà rimpatriata in Lussemburgo. Anche l’azienda elettronica olandese Philips e la società energetica finlandese Fortum hanno riportato in patria i capitali. Secondo Le Monde questi movimenti

potrebbero essere legati ad alcune inchieste avviate dall’Ispettorato speciale delle imposte. Gli inquirenti si appoggiano su nuove disposizioni, le cosiddette “anti abuso di diritto”, che proibiscono le operazioni puramente finanziarie, i giochi contabili e altri artifici che servono a ridurre al massimo l'ammontare delle imposte. […] Inoltre la posizione degli interessi nazionali [che offrono alle imprese un regime fiscale vantaggioso] è diventata meno vantaggiosa dalla fine del 2011. Questi cambiamenti avrebbero scatenato l’incertezza nel mondo finanziario.

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