Idee Crisi del debito

Qualcuno svegli i francesi

Ormai considerata il vero malato d'Europa, la Francia ha finito per perdere la famosa tripla A nei rating di Moody's. Dopo anni di immobilismo e finzioni è il momento di affrontare la dura realtà.

Pubblicato il 20 Novembre 2012 alle 16:27

È strano: sono anni che economisti e sociologi accorrono al capezzale dei paesi in crisi dell'Europa del sud per comunicarci poi le loro brutte notizie, una più preoccupante dell'altra. E durante tutto questo tempo si continuano a parlare della "Kerneuropa" [il nocciolo duro dell'Europa], che funziona sempre grazie al "motore franco-tedesco" a cui non si può permettere di rallentare.

Nel frattempo, vista la costante riduzione della competitività e l'astronomico debito pubblico della Francia (che ammonta ormai al 90 per cento del pil), si pone un'altra domanda: ci troviamo di fronte a una sorta di cecità collettiva - o a quella che può essere considerata come l'ultima vittoria di Pirro di un'arte tutta francese, quella di creare cortine fumogene?

Come è possibile che nessuno abbia cercato di vedere le cose più da vicino? Louis Gallois, ex direttore di Eads, ne ha dato involontariamente la spiegazione con il suo giudizio spietato sull'economia francese e l'appello a drastiche riforme. Parlare di "shock di fiducia" è oggi di moda, ha poetizzato l'uomo che ha fatto carriera grazie a ricchissimi contratti pubblici. Le sue evocazioni della crisi suonavano ancora una volta come un miscuglio di bolscevismo e di eleganza kitsch, e richiamavano i discorsi di Arnaud Montebourg, duro critico della globalizzazione e "ministro dei risanamento produttivo" del suo paese.

"Lo stile è l'uomo", scriveva Madame de Staël. La società francese dà l'impressione di essere rimasta bloccata ai discorsi infantili. Durante i cinque anni della presidenza Sarkozy la società si è interessata più alla sua vita di coppia che al suo disprezzo per la distribuzione democratica dei poteri o all'utilizzo scandaloso dei servizi segreti per sorvegliare gli ultimi giornalisti critici del paese (in Francia i media su internet o su carta sono sovvenzionati a suon di milioni - ciò spiega anche alcuni prevedibili scrupoli).

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Ma un articolo, anche se realizzato dai membri del microcosmo parigino, non deve mai oltrepassare dei limiti chiaramente tracciati. Altrimenti si sarebbe forse potuto osservare che, nonostante la disoccupazione di massa, monsieur Montebourg [in francese nel testo] era prima di tutto preoccupato di sistemare la sua compagna sulla poltrona di direttore della rivista Les Inrockuptibles. Inoltre si sarebbe potuto ricordare a Laurent Fabius, attuale ministro degli esteri, il suo passato di primo ministro di François Mitterrand e lo scandalo dei tremila francesi che si sono visti iniettare sangue infetto nei centri di trasfusione. E anche se in seguito Fabius e i suoi ministri sono stati assolti da una giustizia solo in parte indipendente, molte persone sono morte in seguito a questa vicenda.

Non c'è bisogno di essere un anglosassone che esecra lo stato (un insulto che nella Francia di oggi è più grave dell'epiteto "boche" in passato riservato ai tedeschi) per vedere il potenziale esplosivo di questo rifiuto del presente e del passato e per constatare nella presenza di leader tanto elitari quanto incompetenti un fattore determinante della crisi.

Le scelte a disposizione non sono molte. In Francia non c'è né la socialdemocrazia né la democrazia cristiana. La sinistra e la destra sono unite soprattutto dal loro amore per lo statalismo, dal loro poco interesse per le iniziative private della classe media e da un protezionismo generalizzato che si basa apertamente sul discorso anticapitalista dell'"égalité toujours" [in francese]. Nel frattempo le esportazioni francese si contraggono, la disoccupazione esplode, l'antisemitismo dei musulmani è sempre più forte, la previdenza sociale è sull'orlo del baratro e lo stato rischia il fallimento.

Ma dove sono gli intellettuali francesi, che dovrebbero denunciare la deriva quasi comunista del loro paese? Dove sono i politologi che dovrebbero parlare della separazione dei poteri così cara a Montesquieu e che dovrebbero esaminare in profondità gli intrecci di relazioni che con il tempo si sono creati fra le istituzioni?

È curioso che sia proprio il paese che ha conosciuto il '68 più agitato di tutte le società dell'Europa occidentale a essere rimasto il più autoritario. Ancora oggi l'immensa maggioranza dei giovani dice di voler diventare "fonctionnaire" [in francese], un posto di lavoro sicuro in un apparato amministrativo tanto odiato quanto ambito. Nel frattempo i cinema continuano a proporre commedie sentimentali sull'onda del grande successo del Meraviglioso mondo di Amélie: un ritorno sognato all'hortus conclusus, al paradiso gallico dove il Beaujolais è sempre buono e la baguette è sovvenzionata.

Dalla Francia

Uno shock salutare

Nella notte tra il 19 e il 20 novembre l’agenzia di rating Moody’s ha declassato il rating delle obbligazioni del tesoro francese: Parigi ha così perduto la sua tripla A, e ha ormai acquisito il rating A1.

“È veramente una cattiva notizia?”, si domanda l’editoriale di Les Echos. “A rischio di sorprendere e apparire paradossale e cinico, voglio dire che è anche una buona notizia”.

L'aspetto più importante è che la decisione di Moody’s obbligherà la Francia a darsi una mossa, ad adattarsi. L'agenzia ha evidenziato la perdita di competitività del nostro paese, la rigidità del mercato del lavoro e dei servizi, la situazione del bilancio e la difficoltà che abbiamo a resistere ai nuovi shock nell’eurozona perché non facciamo abbastanza scambi con i paesi emergenti. […] Al di là di questo emerge l’incapacità prolungata di mantenere le promesse (trent’anni di disoccupazione e deficit pubblico).

Il governo pensava di avere tempo a disposizione, ma non ne ha più. Non voleva subire alcuno shock ed è arrivato un elettroshock. […] Da dieci giorni camminava su una piccola nuvola, con le buone reazioni al rapporto Gallois [sulla competitività dell’industria francese] e alle misure successive e i numeri incoraggianti sulla crescita nel terzo trimestre, […] Ora è tutto finito.

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