Il data center di Ivry-sur-Seine, vicino Parigi, dove è ospitato tra l'altro il server di Presseurop.eu.

L’occhio indiscreto di Bruxelles

Nonostante le restrizioni al loro uso da parte delle aziende, l'Ue raccoglie un numero sempre più grande di dati personali degli utenti internet. In difesa della libertà digitale si sta però raccogliendo un ampio fronte internazionale.

Pubblicato il 9 Agosto 2010 alle 14:58
Il data center di Ivry-sur-Seine, vicino Parigi, dove è ospitato tra l'altro il server di Presseurop.eu.

Rispetto agli Stati Uniti, nell'Unione europea ci sono più restrizioni sulla raccolta, l'uso e la vendita dei dati da parte delle compagnie online. Tuttavia l'Ue chiede ai provider di conservare i dati personali nell'eventualità che servano a indagare su un singolo utente. Il Parlamento europeo sta prendendo in esame una legge chiamata "Smile29", che costringerebbe a trattenere i dati anche Google, che ogni mese processa miliardi di ricerche nel vecchio continente.

L'intenzione dell'Unione europea rappresenta soltanto l'ultimo dei molti tentativi compiuti dai governi di tutto il mondo di raccogliere un numero sempre maggiore di informazioni sui cittadini attraverso il loro comportamento in rete. Secondo i critici la legislazione europea non fa altro che autorizzare una sorveglianza predatoria, e in tutto il continente si assiste a una levata di scudi. Un gruppo di attivisti irlandesi ha deciso di sfidare il "nuovo regime", e ha chiesto ai tribunali nazionali l'autorizzazione a rivolgersi alla Corte di giustizia europea per abrogare le leggi emanate dal parlamento di Dublino, deciso ad allineare l'Irlanda agli standard europei. Digital rights Ireland sostiene che la legge irlanese viola la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani. Se dovesse vincere la sua battaglia le regole potrebbero essere messe in discussione in tutta Europa. "Il nostro primo obiettivo è l'abrogazione della nostra legge sulla conservazione dei dati", dichiara T.J. McIntyre, professore di diritto all'University college di Dublino e capo dell'organizzazione. Secondo McIntyre le leggi attuali criminalizzano i cittadini.

La privacy online è diventata il più importante campo di battaglia nello scontro sulle libertà civili. Facebook e Google ammassano quantità spaventose di dati che racchiudono i pensieri, i desideri e gli impulsi degli utenti. Si tratta di una merce estremamente preziosa, che le compagnie sono disposte a pagare a peso d'oro. Nel frattempo in tutta Europa cresce il fronte di opposizione, che comprende anche gruppi di sostegno dei diritti civili come la European federation of journalists. In Germania quasi 35mila persone, tra cui il ministro della giustizia Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, hanno deciso di fare causa al governo. "In Europa c'è un problema serio. Stiamo assistendo a una violazione della Convenzione per i diritti umani che sancisce il diritto alla vita privata per ogni uomo. È un diritto fondamentale che deve essere esteso alla vita digitale", sostiente Christian Engström, membro del Parlamento europeo e rappresentate del Partito pirata svedese.

Oggi in Irlanda i dati telefonici devo essere conservati per 3 anni, ma al momento non esistono leggi che obbligano gli internet provider a trattenere i dati. Sia il governo di Dublino che l'Unione europea vogliono cambiare la situazione. Secondo McIntyre il governo sta avendo il sopravvento. "Nel 2002 il governo irlandese ha introdotto segretamente la conservazione dei dati. Lo hanno fatto attraverso un ordine ministeriale, e fino a oggi il dipartimento di giustizia non lo ha mai confermato". McIntyre si aspetta che il caso sia risolto dalla Corte di giustizia europea.

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La stessa Unione europea sembra avere opinioni discordanti in fatto di privacy su internet. I meccanismi di monitoraggio e sorveglianza sono stati ampiamente rinforzati, tuttavia l'organismo Ue destinato a sorvegliare sulla conservazione dei dati sotto la legge Smile29 ha dichiarato che gli stati membri trattengono già più informazioni sui cittadini di quante dovrebbero, e "hanno fornito statistiche insufficienti a proposito dell'uso dei dati trattenuti, cosa che limita le possibilità di una verifica sull'utilità della conservazione dei dati".

Deficit democratico

Digital rights ireland chiede un sostanziale cambiamento della legge, che comprenda una riduzione del periodo massimo di conservazione dei dati, un riesame complessivo da parte della Commissione europea dei meccanismi di sicurezza sul traffico di dati, una definizione più chiara del concetto di "crimine grave" a livello degli stati membri e una "pubblicazione dei nominativi di tutte le persone che lavorano negli enti che hanno accesso ai dati". Engström è convinto che il problema dell'Unione europea sia il deficit democratico: "la maggior parte del potere si concentra nelle mani dei commissari e di altri funzionari non eletti".

Secondo Engström un altro problema è rappresentato dalle diverse burocrazie della Ue, che si pestano i piedi tra loro. "È fondamentale capire che non c'è un 'cattivo'. Non c'è nessun oscuro personaggio a tirare le fila. La verità è che l'Unione europea è molto vicina a diversi interessi economici, il che è molto preoccupante se si considera che l'esecutivo non è composto da rappresentanti eletti". Engström sostiene che le forze di polizia chiedono accesso ai dati soltanto perché questi ultimi esistono. "Sono cose che non hanno niente a che vedere con il vero lavoro della polizia. Le nuove leggi potrebbero portare alla cattura di malviventi inesperti, ma i veri criminali troveranno presto una maniera di aggirarle".

L'eurodeputato sottolinea anche il pericolo delle false accuse. La raccolta dei dati può infatti portare al massimo all'individuazione di un disegno criminale. Tuttavia bisogna ricordare che "il cervello umano è bravissimo a vedere disegni criminali anche dove non esistono".

McIntyre sostiene che la sua lotta continuerà: "Non esisterà mai un meccanismo automatico di individuazione del crimine. Per qualche motivo le forze di polizia sono molto affezionate all'idea. Il concetto è quello di fermare i criminali in anticipo, ma la raccolta di dati crea troppi errori in questo senso. Da un punto di vista commerciale non è poi così importante che qualcuno riceve una pubblicità irrilevante sul proprio profilo Facebook. Ma il terrorismo riguarda un numero ridotto di individui, e per questo non è possibile arrivare a una base probatoria dalla quale tracciare un profilo dei possibili criminali". (traduzione di Andrea Sparacino)

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