La guerra dello sgombro

L'aumento unilaterale delle quote pesca da parte di Islanda e Isole Faroer sta irritando la Norvegia e la Scozia, che temono per la propria industria ittica. L'Unione europea, però, non ha ancora elaborato una strategia per far rispettare gli accordi.

Pubblicato il 24 Agosto 2010 alle 13:49

É estate, e i britannici si godono l'abbondanza di sgombri. Arrostiti, affumicati, cotti nel sidro: una vera leccornia stagionale, sostenibile, che non lascia sensi di colpa. In realtà, Gran Bretagna e Ue sono sull’orlo di una vera e propria guerra dello sgombro con l’Islanda e le Isole Faroer, che hanno deciso unilateralmente di ignorare le quote concordate e si sono concesse la parte del leone nella pesca nell’Atlantico settentrionale, innescando una tensione che ricorda le guerre del merluzzo degli anni settanta.

Il settore della pesca sostiene che la disputa rischia di compromettere non soltanto il futuro dell’industria ittica britannica, ma addirittura l’esistenza dello sgombro stesso. La settimana scorsa cinquanta pescatori scozzesi hanno bloccato il porto di Peterhead, impedendo a un peschereccio delle Faroer di scaricare 1.100 tonnellate di pesce diretto agli impianti di lavorazione. Un parlamentare scozzese esige sanzioni severe nei confronti dell'arcipelago danese situato tra Islanda e Gran Bretagna.

Struan Stevenson, vice presidente della Commissione sulla pesca del Parlamento europeo, chiama i due paesi in questione “i nuovi vichinghi” e sostiene che solo le sanzioni potranno indurli alla ragione. "Dovremmo minacciare di chiudere tutti i porti dell’Ue alle imbarcazioni islandesi e delle Isole Faroer, bloccare tutte le importazioni da quei paesi e dimostrare che facciamo sul serio".

Secondo Stevenson la questione dovrebbe essere risolta prima che si aprano i colloqui per l’ingresso nell’Ue dell’Islanda: "Siamo in presenza di una nazione che intende sedersi al tavolo delle trattative per entrare nell’Ue, e che cosa ci porta? Una nube di ceneri vulcaniche e problemi finanziari, oltre al rifiuto di saldare i debiti con la Gran Bretagna. E adesso anche questa incredibile prepotenza".

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Il problema è riconducibile anche al riscaldamento climatico, perché gli sgombri si dirigono verso le acque fredde situate sempre più a nord. Gli islandesi, a corto di liquidità, ne hanno approfittato aumentando notevolmente la loro quota di pescato, portandola da duemila a 130mila tonnellate. Altrettanto hanno fatto le Faroer, che avevano firmato un Accordo per le acque costiere con Ue e Norvegia ma hanno arbitrariamente aumentato la loro quota da 25mila a 85mila tonnellate.

Sentenza di morte

Secondo il Wwf se entrambi questi paesi manterranno queste quote nel 2010 la quota di sgombri caduti nelle reti eccederà del 35% le raccomandazioni degli esperti, una “sentenza di morte” per le riserve ittiche.

Ian Gatt, capo dell’Associazione scozzese dei pescatori, crede che sia a rischio il futuro del settore, che l’anno scorso ha fruttato 135 milioni di sterline (164 milioni di euro). Se non sarà raggiunto alcun accordo, la quota ittica scozzese potrebbe essere dimezzata. La Norvegia ha preso immediatamente provvedimenti, chiudendo l’accesso ai suoi porti ai pescherecci di entrambi i paesi, ma l’Ue - pur avendo già espresso le proprie preoccupazioni in merito - deve ancora decidere il da farsi.

Solo di recente l’Islanda si è dedicata alla pesca dello sgombro: come le Faroer, in passato si era dotata di una costosa flotta di pescherecci per la pesca del melù, ma le riserve di questa specie si sono assottigliate. "Si è ritrovata con queste barche moderne, più belle e meglio attrezzate delle nostre, ma senza più melù da pescare. Così si è dedicata agli sgombri", spiega Ernie Simpson, uno skipper in pensione.

L’Islanda considera del tutto legittimo il proprio comportamento: la Federazione dei pescatori islandesi ha comunicato di “avere tutto il diritto di pescare gli sgombri all’interno delle acque territoriali”. Intanto il governo scozzese si è unito ai norvegesi per chiedere che l’Ue eserciti maggiori pressioni sulle due nazioni.

Stevenson crede tuttavia che l’intransigenza dei pescatori irlandesi sarà difficili da contenere, memore delle guerre del merluzzo degli anni cinquanta e settanta, quando i pescherecci islandesi arrivarono a tagliare le reti dei rivali britannici costringendo la Royal Navy a intervenire. "Credono di aver vinto la guerra del merluzzo, al punto che la cannoniera islandese che aprì il fuoco contro la marina britannica è diventata oggi un famoso ristorante nel porto di Reykjavik. Oggi pensano di poter fare altrettanto, anche se questa volta le cose potrebbero andare diversamente: non si trovano contro solo la Gran Bretagna, ma l’intera Unione europea e la Norvegia", conclude Stevenson. (traduzione di Anna Bissanti)

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