Il fiscal cliff di Angela Merkel

L'accordo dell'ultimo minuto sul bilancio dimostra che gli Stati Uniti non prendono sul serio il risanamento fiscale. Al confronto il rigore imposto dalla Germania all'Europa sembra molto più sensato.

Pubblicato il 3 Gennaio 2013 alle 16:39

Per citare lo storico statunitense Robert Kagan, “gli americani vengono da Marte e gli europei da Venere” quando si tratta di curare la salute fiscale a lungo termine. Il fatto che di fronte al cosiddetto “fiscal cliff” il meglio che i politici di Washington siano stati capaci di fare è un accordo minimalista e ridotto all’osso sembra dimostrare che gli Stati Uniti non hanno interesse a risolvere i propri problemi a lungo termine del deficit di bilancio.

Ciò non dipende tanto dalle divergenze di parte, benché spesso se ne parli in questi termini. Molto semplicemente, a prescindere dalla corrente politica alla quale appartengono, gli americani non prendono sul serio la situazione fiscale del loro paese.

Come interpretare altrimenti il fatto che l’unico modo per costringerli ad accettare un briciolo di austerità fiscale è stato quello di convincerli – con espedienti quali appunto il fiscal cliff – che se avessero rifiutato di sorbirsi almeno una piccola dose di medicina fiscale avrebbero dovuto accettare misure di austerity ben più drastiche?

Se il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e il Congresso avessero avuto veramente voluto sistemare una volta per tutte il problema del deficit di bilancio sarebbero saltati entusiasticamente giù nel “baratro fiscale”, che avrebbe previsto indispensabili tagli alla spesa e aumenti del regime fiscale. Non avrebbero mercanteggiato all’infinito per aggirarlo.

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Questo è l’esatto contrario di quanto sta accadendo in Europa, dove la cancelliera tedesca Angela Merkel guida la carica dei sacrifici fiscali a breve termine a beneficio dei risultati a lungo termine. Sia i keynesiani sia i sostenitori dell’economia dell’offerta non sono di questo parere, ma Angela Merkel tiene duro, e sostiene che l’Europa non potrà tornare a una crescita sostenibile e al benessere senza aver prima rimesso in sesto la propria situazione fiscale. E sta utilizzando in modo creativo i soldi tedeschi per varare le leggi tedesche che vuole per l’Europa.

Questo, oltre al fatto che è stata saggia e coraggiosa quanto basta per acconsentire al programma di Mario Draghi per l’acquisto dei bond al fine di stabilizzare il mercato, nonostante l’opposizione della Bundesbank, è il motivo per cui penso che sia proprio Angela Merkel a meritare il titolo di europeo dell’anno.

Un promemoria per gli investitori: il 2013 potrebbe essere l’anno in cui i mercati cominceranno a rendersi conto che hanno ragione “quelli che vengono da Venere”, e che i “marziani” si trovano in realtà sulla strada sbagliata. Sono gli americani a rimpallarsi il barattolo della riforma fiscale, non gli europei.

Alleggerimento pericoloso

Questo è un pericolo tanto per l’Europa quanto per l’America. Il mancato impegno da parte di Washington ad affrontare e risolvere il problema fiscale statunitense potrebbe innescare una serie di maremoti nell’intera economia globale. Viviamo infatti in un mondo talmente interconnesso che “chi viene da Venere” può subire gravi contraccolpi se “chi viene da Marte” non si occupi attentamente dei propri affari. Una crisi nel mercato obbligazionario statunitense assesterebbe gravi danni a europei e americani (per non parlare degli asiatici).

Parte della responsabilità dei problemi fiscali statunitensi grava sulle spalle della Federal Reserve, le cui politiche di alleggerimento quantitativo – varate più o meno di proposito – hanno reso più facile per i politici statunitensi accantonare qualsiasi iniziativa di risanamento. Perché darsi la pena di varare dolorose riforme fiscali per tutelare il debito sovrano, quando l’acquisto incondizionato di bond statunitensi da parte della banca centrale lo fa al posto tuo? La Bce invece esige riforme, prima di spendere un solo euro per l’acquisto di bond.

Il presidente della Fed Ben Bernanke senza dubbio odierebbe ammetterlo, ma l’alleggerimento fiscale ha contribuito a togliere l’aria dal palloncino della riforma fiscale degli Stati Uniti.

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