Il lato protestante di Madrid street

I due mondi di Belfast

Da oltre un mese cattolici e lealisti si scontrano per l’esposizione della bandiera britannica in municipio. Ma le divisioni della città hanno una lunga storia alle spalle.

Pubblicato il 18 Gennaio 2013 alle 12:30
S L James / Flickr  | Il lato protestante di Madrid street

A Belfast c'è una strada che si chiama Madrid e si interrompe all’improvviso davanti al muro di Berlino. La parete consiste in una parte di mattoni più una di ferro e un’altra di acciaio. Misura più di sette metri in altezza ed è decorata con spuntoni e filo spinato. Il suo scopo non è soltanto quello di impedire alla gente di passare da un lato all’altro, ma anche di evitare che vengano lanciati sassi, chiodi e bombe molotov. Lo chiamano “linea della pace” per non chiamarlo muro della vergogna, e serve a separare i protestanti dai cattolici.

Nei giorni scorsi la zona orientale di Belfast si è svegliata in un panorama di auto bruciate, vetri rotti e resti di sampietrini lanciati contro la polizia. Nel paesaggio desolato della battaglia si ergevano immutati i muri, parenti stretti di quelli di Gaza e della Cisgiordania, con l’aria di campi di concentramento ma coperti di graffiti in onore dei lealisti incappucciati dell’Ulster o dei martiri repubblicani dell’Ira.

Oggi la capitale dell’Irlanda del Nord è letteralmente costellata di muri divisori come quello di Madrid Street. Secondo l’ultimo conto le pareti della vergogna ammontano a 99. Hanno cominciato a moltiplicarsi proprio dopo l’Accordo del venerdì santo (e la chiamano pace).

La polizia assicura che senza le “linee della pace” la città sarebbe in uno stato di guerra permanente. I tassisti ci perdono il senno. Gli abitanti sfogano la loro ira contro i muri, che sono diventati la principale attrazione della sanguinosa Belfast.

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Il muro di Madrid Street è un po’ fuori mano, e non è incluso nel percorso dei tour organizzati. Si trova dall’altro lato del fiume Lagan, nel violento est di Belfast. Nel quartiere di Short Strand – una specie di ghetto urbano di mattoni tristi – vivono confinati seimila cattolici, insieme a sessantamila protestanti che non perdono occasione di ricordargli che vivono in una zona lealista.

È domenica mattina, e a Madrid Street non c’è nemmeno un’anima. Mentre camminiamo ascoltiamo voci lontane, porte che si chiudono, il latrato di un cane. Poi un uomo anziano esce a fumare una sigaretta davanti al numero 123. Proprio ai piedi dell’imponente muro.

“È vero che a prima vista fa spavento, ma da quando lo hanno costruito ci sentiamo più sicuri e protetti”, ammette Phil Fermanagh, muratore in pensione che si affretta a mostrarci i segni dei chiodi che piovevano spesso su casa sua.

“Ora per lo meno possiamo dormire tranquilli e non guardare al telegiornale risse in strada. La notte non si sentono più colpi di pistola. Io stesso ho tirato un po’ di pugni nel quartiere, soprattutto quando ero giovane. So che non è molto cattolico, ma qui siamo cresciuti odiando il nostro vicino, e viceversa. Madrid Street è stata una delle zone più violente, durante i troubles. Anche se non lo so per certo, sono sicuro che se farà le stesse domande dall’altro lato del muro le racconteranno un’altra storia”.

Dall’altro lato

Per arrivare “dall’altro lato”, nella zona protestante, bisogna percorrere mezzo chilometro di muro lungo Bryson Street e farsi il segno della croce davanti alla chiesa di St Matthew (scenario della famosa battaglia tra cattolici e protestanti del 1970, conclusasi con due morti e centinaia di feriti). “Loyalist East Belfast”, leggiamo sul muro da cui ci sorvegliano le sentinelle dell’Associazione per la difesa dell’Ulster, seguendo i nostri passi con la punta dei loro fucili dipinti. Bandiere britanniche sventolano ovunque.

“Quello che hanno fatto con la bandiera è un insulto, ed è per questo che manifestiamo”, spiega Heather Murray, 37 anni. Heather abita in Susan Street, dall’altro lato del muro. “Quello che è successo durante i [Troubles] è stato colpa della polizia, che non ha lasciato che la nostra gente tornasse a casa propria. Io non c’ero, ma mio marito sì. Ho due figli piccoli e ho paura di uscire in strada, con tutto quello che sta succedendo. La polizia non fa altro che provocarci. È il colmo: si sono rivoltati contro di noi”.

Come il 68 per cento dei protestanti di Belfast, Heather ammette di non rivolgere la parola ai suoi vicini cattolici. “Viviamo in due mondi separati, vogliamo un futuro diverso per l’Ulster e crediamo in cose diverse. Anche se in fondo penso che preghiamo lo stesso dio. E speriamo che ascolti le nostre preghiere.

Contesto

I protestanti hanno paura

Le proteste di Belfast sono legate alla nuova realtà politica, economica e demografica della città, sottolinea il corrispondente dell’Independent David McKittrick. Il nuovo censimento rivela che la città, un tempo “orgoglioso bastione dell’etica del lavoro protestante”, ha perso la sua maggioranza protestante. In questo senso si spiega la decisione del “municipio di ridurre i giorni in cui esporre la bandiera britannica: i consiglieri unionisti sono stati messi in minoranza”.

Oggi l’Irlanda del nord è governata da una nuova distribuzione politica (anticipata da Ian Paisley) che spinge unionisti e repubblicani a governare insieme. Da tempo ormai i nazionalisti guadagnano costantemente terreno a scapito dei protestanti, e per questo la riduzione del numero dei giorni di esposizione della bandiera ha scatenato la rabbia dei lealisti che la considerano un segno della perdita di potere e un attacco alla loro “britannicità”. Questa collera ha prodotto la nebbia rossa, blu e bianca che sta prevaricando sulle consuete regole della società e spingendo ai margini ogni analisi sul miglioramento economico, l’aumento di posti di lavoro, la libertà di movimento e persino la sicurezza personale. Alle porte, invece, c’è un lungo processo di autodistruzione.

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