La mano invisibile dell’Europa

A una settimana dall'inizio delle operazioni in Sahel, la Francia è ancora l'unico paese europeo impegnato sul campo. L'Ue sta facendo la sua parte sul piano logistico e finanziario, ma per dare un senso alla sua diplomazia non può fare a meno dell’“hard power”.

Pubblicato il 18 Gennaio 2013 alle 16:32

L'Unione rischia di finire sul banco degli accusati per la sua assenza, per la sua mancata reazione di fronte alla crisi e per aver lasciato la Francia da sola. Tuttavia l'analisi obiettiva della situazione contraddice queste affermazioni sia in campo politico che finanziario e umanitario, anche se evidenzia un vero e proprio fallimento, quello della politica di difesa e di sicurezza comune.

Che cosa è successo una volta che si è venuti a conoscenza dell'operazione Serval? L'Unione ha organizzato delle riunioni di crisi per modificare le scadenze e le azioni dell'iniziativa europea per il Mali decise dai 27, in particolare la missione Eutm Mali. La riunione dei ministri degli esteri che si è svolta a Bruxelles il 17 gennaio era il prolungamento e la dimostrazione di questo impegno dell'Unione europea, solidale con la Francia in Mali. Quanto meno da un punto di vista politico e simbolico. In concreto l'Unione darà il suo sostegno finanziario, in particolare alla Misma - la missione internazionale a guida africana impegnata in Mali - dell'Ecowas, così da finanziarie gli stipendi dei soldati africani.

Tuttavia il Mali conferma la difficoltà dell'applicazione della Politica estera e di sicurezza comune. Nata con il trattato di Maastricht nel 1993, la Pesc doveva "portare, una volta arrivato il momento, a una difesa comune". Nel 1999 il vertice di Helsinki precisava che l'Unione europea doveva, entro la fine del 2003, poter dispiegare 60mila uomini in unità aeree e navali nell'arco di 60 giorni. In seguito l'Unione si è resa conto delle difficoltà di riunire forze operative di tali dimensioni. Nel 2004 la Conferenza di offerte di impegni in materia di capacità militare ha lanciato il concetto [di gruppi tattici di 1,500 uomini in grado di permettere all'Europa di rispondere più rapidamente alle situazioni di crisi. Una delle principali ambizioni militari dell'Ue era quella di avere la capacità di reagire presto e in modo efficace nelle zone di conflitto al di fuori dall'Unione.

Di conseguenza in Mali sarebbe potuta intervenire una forza europea, ribadendo in questo modo la forza diplomatica e militare dell'Unione. Ci troviamo di fronte a una crisi fuori dal territorio dei 27, in un paese ad almeno seimila chilometri da Bruxelles, una crisi che rende necessario - a priori per la maggioranza della comunità internazionale, con un consenso tiepido ma reale da parte dell'Europa e senza dimenticare l'appello del legittimo governo maliano - un intervento rapido prima dell'arrivo di un'altra forza africana e regionale.

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Ma le cose sono andate diversamente. E come al solito, il mondo mediatico, politico e gli stessi cittadini guardano critici verso Bruxelles. La Francia è rimasta da sola. Non c'è un'Europa della difesa, non c'è un'Europa operativa, non c'è una reale unità diplomatica. Tuttavia non è a Bruxelles che bisogna cercare le ragioni di questa divisione, ma nei governi dei paesi che hanno la responsabilità temporanea del gruppo tattico, e cioè la Francia, la Germania e la Polonia. La Francia ha deciso di andare da sola e sembra che non abbia chiesto nulla a nessuno. Per Berlino, e ancora di più per Varsavia, il Mali è soprattutto un interesse molto francese e l'investimento non offre di certo un grande rendimento.

In ogni modo la posta in gioco è molto alta. Si tratta della reale potenza diplomatica dell'Unione, e si vede che Catherine Ashton fa fatica a trovare un suo ruolo. L'Europa diplomatica e militare è in difficoltà. Tuttavia, lo ripetiamo, l'Unione europea si è impegnata nella crisi come aveva già fatto in Somalia e in Palestina. La Francia non è sola in Mali. Troppo discreta, con un'architettura istituzionale complessa e incomprensibile, senza un volto e una voce propria, l'Unione attira facili critiche dai paesi membri. L'Ue lavora sul campo, finanzia, si impegna ma perde la battaglia sul fronte mediatico e non riesce a superare le sue divisioni nell'applicazione di una politica di difesa e di sicurezza comune strategica e operativa.

Una diplomazia "soft", economica, culturale, educativa, mediatica e sportiva non può vivere senza un rapporto forte e integrato con una diplomazia "hard", militare e finanziaria, e con la loro sorella minore del ventunesimo secolo, una diplomazia digitale oggi completamente dominata dagli Stati Uniti. L'Europa unita sarà più europea anche attraverso la difesa e la sicurezza.

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