Abbiamo perso la lingua

Nel paese l’analfabetismo è di nuovo in forte aumento. Tra i motivi c’è il disprezzo del potere per la lingua e la letteratura nazionale, a cui le case editrici preferiscono le traduzioni delle opere straniere.

Pubblicato il 24 Gennaio 2013 alle 12:54

Non c'è bisogno di avere una laurea per comprendere le implicazioni del fatto che molti meno libri sono stati venduti in Romania nel 2011 (60 milioni di euro) che in Ungheria (180 milioni di euro), paese vicino al nostro ma meno popolato. Non c'è bisogno di essere comunisti per capire che oggi nel nostro paese l'analfabetismo è in aumento con il 6 per cento della popolazione interessata e il 40 per cento degli adolescenti sotto i 15 anni che non ha le conoscenze di base nella lettura e nella scrittura. Un fenomeno che era quasi scomparso negli anni cinquanta.

Non c'è bisogno di essere iscritti a un partito per capire che nella loro negligenza e denigrazione della cultura nazionale, i governi della Romania - indipendentemente dal loro colore - sono assecondati dalle grandi case editrici postcomuniste, avide di guadagnare denaro con le traduzioni e sprezzanti nei confronti di gran parte della cultura romena vivente. Chi non ci crede può, a titolo di dimostrazione, controllare la percentuale di libri romeni pubblicati sull'insieme della produzione editoriale.

È ora che qualcuno si faccia avanti e affermi che "le traduzioni non fanno una letteratura", che non possono né devono sostituirsi alla libera produzione originale nella lingua del paese e in nome di un ethos che ci è proprio. È ora - è triste dover ripetere la storia - che arrivi un Mihail Kogălniceanu [primo ministro e letterato del diciannovesimo secolo] per criticare questi scritti provenienti dal Potomac, da San Pietroburgo o da Tokyo, che - per quanto eccitanti e interessanti possano essere e indipendentemente dai valori universali che trasmettono - non possono esprimere le nostre gioie e le nostre pene come il più sobrio racconto sul mercato di Obor, sul canale di Bega o sulle montagne Apuseni, autentici vivai di idee ispiratrici di creatività.

Il Potomac, San Pietroburgo e Tokyo assumono il loro pieno significato rispetto al nostro orizzonte culturale solo in quanto incitano, suscitano, suggeriscono e chiedono un dialogo con quello che la vita ci porta. Non possiamo certo criticare chi voglia nella sua breve vita arricchirsi come può. Ci rimarrà comunque la gioia di leggere le pagine - inutili? - di Ion Ghica, Ion Creangăo o Mihail Sadoveanu, i nostri grandi scrittori intraducibili. Ma perché le aspirazioni di queste persone dovrebbero essere più legittime delle nostre? Non credo che l'evoluzione passi attraverso lo sradicamento della nostra cultura nazionale e della nostra lingua attraverso quello che pubblichiamo.

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Libertà sprecata

Noi viviamo in un'epoca molto creativa, in cui si esprimono voci di grande valore. In un certo senso si tratta della realizzazione di più di venti anni di libertà di circolazione, di informazione e di espressione in Romania, risultato dei contatti con l'atmosfera stimolante dell'occidente e del resto del mondo. Abbiamo respirato a pieni polmoni un'aria diversa e siamo riusciti a scrivere, a dipingere e a comporre liberamente, anche se rimaniamo fragili economicamente.

Ma non facciamoci illusioni: l'analfabetismo aumenta, la qualità dell'insegnamento diminuisce, i problemi della principale minoranza - i rom - sono tutt'altro che risolti, quanto meno per quanto riguarda la scolarizzazione, e nel frattempo la popolazione della Romania si riduce. Che aspettiamo allora per innalzare la dignità di un popolo e di una cultura al livello delle sue aspirazioni del passato? C'è forse qualcuno che pensa che senza istruzione e senza un'identità al passo con i tempi potremmo fare parte di una comunità europea tecnologicamente all'avanguardia? Chiediamo agli ungheresi di Romania di esprimersi in un romeno corretto, mentre noi non siamo disposti a dare alcun credito culturale alla nostra lingua.

Questo eterno travestimento, questo mimetismo servile nei confronti della lingua egemonica del momento non può essere una soluzione, perché ci toglie ogni credibilità. Finché continueremo a screditare la libera iniziativa culturale, finché l'educazione rimarrà un interesse secondario, produrremo solo dei cittadini disorientati, una manodopera non qualificata al servizio delle multinazionali di tutto il mondo, e saremo trattati come comparse della storia. Il destino attuale della Romania? Stranieri in casa nostra.

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