Emissione impossibile

Le critiche mosse all'iniziativa Onu per la riduzione dei gas serra rischiano di arrecare danni collaterali al sistema Ets dell'Unione europea, che finora ha raccolto buoni risultati.

Pubblicato il 9 Settembre 2010 alle 15:04

L’Emission Trading System (Ets) è il fiore all’occhiello dell’Ue nella lotta alle emissioni industriali di gas serra, perno centrale – almeno agli occhi della Commissione Europea – di un sistema globale di cap-and-trade. Gli ingenti investimenti del capitale politico europeo in questo schema hanno spinto Connie Hedegaard, commissario europeo per il clima, a prendere la parola prima della ripresa autunnale dell’attività politica, quando l’Ets rischia di subire danni collaterali dalle critiche al sistema di scambio di anidride carbonica voluto dalle Nazioni Unite.

Aleggiano infatti diversi sospetti sul meccanismo di sviluppo pulito (Cdm, Clean Development Mechanism) messo a punto dall’Onu, che consente agli inquinatori nei paesi ricchi di rispettare gli obiettivi previsti dal protocollo di Kyoto pagando per lo sviluppo di progetti a energia pulita nei paesi in via di sviluppo. La sua efficacia è stata contestata da quanti affermano che alcuni progetti Cdm di fatto incoraggino le industrie a produrre più gas inquinanti invece di ridurli.

La Commissione è sempre più esasperata nei confronti delle Nazioni unite per la mancata riforma del Cdm, che nel 2009 aveva un valore stimato complessivo di 1,9 miliardi di euro. In teoria lo schema dovrebbe avviare un circolo virtuoso, permettendo ai paesi ricchi di rispettare i loro impegni climatici con il minimo di spesa, mentre le economie in via di sviluppo riceverebbero un’iniezione di capitali per passare alle energie pulite. Ma i critici puntano il dito su diversi punti deboli.

Sotto accusa sono soprattutto le iniziative contro l’Hfc-23, il cosiddetto “super-gas serra”, un prodotto secondario indesiderato che si ottiene dalla lavorazione dei gas refrigeranti e che è 11.700 volte più dannoso dell'anidride carbonica. I progetti studiati per eliminare questi gas sono molto popolari, ma la tedesca Cdm Watch accusa i produttori di “raggirare il sistema” producendo di fatto più gas Hfc-23, pur intascando i ricchi profitti.

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La Commissione vuole un’azione più incisiva da parte delle Nazioni unite. L’irrequietezza dell’Ue è comprensibile, in quanto l’Europa è di gran lunga la più importante acquirente di crediti Cdm e qualsiasi eventuale sospetto sul loro valore comprometterebbe l’Ets.

Credibilità a rischio

La reputazione e la credibilità dello schema europeo hanno subito un colpo quando i governi hanno ceduto troppi crediti, facendo precipitare il prezzo del biossido di carbonio. Da allora il sistema ha recuperato, ma gli investitori hanno altri motivi di preoccuparsi. Nel 2008-2009 il mercato dei Cdm ha perso il 59 per cento del suo valore, a causa della recessione economia e alla diversa situazione negli ambienti internazionali, che crea incertezza sul futuro stesso dei Cdm. Ad agosto l’International Emissions Trading Association ha scritto a Hedegaard che “la fiducia dei mercati è a un livello molto basso”, e ha chiesto maggiore trasparenza in relazione alle intenzioni della Commissione nei riguardo dei Cdm.

Hedegaard sta cercando di puntellare la credibilità dei Cdm. Ha chiesto ai funzionari di trovare il modo di garantire che i clienti dell’Ets abbiano accesso solo a progetti attendibili dal punto di vista ambientale. Questo potrebbe significare la messa al bando degli Ets per alcuni progetti (per esempio quelli Hfc-23), oppure fissare i prezzi in modo tale che i progetti relativi ai gas industriali perdano valore e siano pertanto meno allettanti per gli investitori. In autunno si prevede un primo disegno di legge.

La Commissione ha anche altri problemi con il Cdm. Il grosso dei finanziamenti è diretto in Cina e in India e solo in minima parte ai paesi più poveri. Inoltre, come rivela un insider, “il Cdm non crea alcun incentivo ai paesi in via di sviluppo per sviluppare un sistema cap-and-trade”. La Commissione preferirebbe stringere “intese di settore” con le grandi economie emergenti, e ciò implica che i finanziamenti europei sarebbero vincolati per i paesi in via di sviluppo alla riduzione delle emissioni nelle industrie che consumano grandi quantità di energia, per esempio quelle che producono acciaio o sostanze chimiche. A quel punto sarebbero disponibili più fondi per i paesi meno sviluppati.

La posizione di principale acquirente dei crediti Cdm garantisce all'Europa una certa influenza sulla riforma del sistema. Stig Schjølset, senior analyst di Point Carbon, fa notare che la domanda di crediti Cdm offre all’Ue uno strumento di pressione nei negoziati internazionali. Ma la Commissione dovrà utilizzare questa leva senza perdere la fiducia degli investitori nel futuro dei mercati europei dell’anidride carbonica. Una sola mossa sbagliata e gli Ets perderebbero tutta la loro attrattiva. (traduzione di Anna Bissanti)

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