Un'immagine dal cortometraggio animato Logorama.

Il neoliberismo uccide l’Europa

L’austerity non basterà a tirare l’Ue fuori dall'abisso del debito. Al contrario, la reiterata fiducia nella capacità del mercato di rimediare da solo ai propri errori finirà per fare a pezzi l'unione monetaria.

Pubblicato il 27 Settembre 2010 alle 15:09
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La crisi provocata dal debito pubblico degli stati membri e aggravata dalle iniziative prese dal 2008 per salvare in extremis le banche dimostra almeno tre cose. La prima è che una valuta non può esistere senza uno stato. La seconda è che il capitalismo non può essere gestito dal solo mercato. La terza è che le misure di austerity non faranno uscire l’Europa dalla crisi, ma al contrario continueranno a peggiorare le cose, fino a quando l’euro non soccomberà.

In ogni caso, dalla crisi in atto emerge una nozione ancor più importante: reinventare politicamente l’Europa non dipenderà esclusivamente dalla lotta sociale al neoliberismo. Il neoliberismo – l’assurdo concetto di un governo economico basato unicamente sul mercato e sulla propria capacità di auto-regolarsi – è alla base della grande illusione di un’Europa senza leadership e unita dall’euro, che avrebbe controllato le differenze economiche e sociali interne in base alla logica dei mercati finanziari.

Eppure i politici europei non sembrano avere altra scelta che non continuare a usare il linguaggio del neoliberismo per parlare della crisi e affrontare i conflitti sociali che rischiano di esplodee nei prossimi mesi. Non esiste un governo europeo: esiste soltanto la gestione di misure di austerità e di repressione.

Gli stress test delle banche europee sono serviti unicamente a rivitalizzare le banche tedesche e francesi esposte al debito sovrano dei paesi più remoti dell’Ue. I recenti successi economici della Germania – in particolare l’aumento delle esportazioni, soprattutto verso aree esterne alla zona euro – non serviranno a invertire la crisi dell’euro.

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Di fatto, il divario che si è creato tra i paesi economicamente forti e quelli deboli da un punto di vista industriale, condizionato dalle politiche della Banca centrale europea, potrà soltanto aggravarsi. Con ogni probabilità l’esito finale della crisi sarà l’uscita dall’euro della Germania, che è soltanto questione di tempo. L'uscita della Grecia o della Spagna non basterebbe a colmare gli squilibri nel blocco centrale dell’Ue, né il divario tra Germania – sempre più concentrata verso i mercati asiatici o dell’America del Sud – e Francia, che da qualche tempo sta perdendo potere economico e credibilità politica.

La crisi degli Stati Uniti e il rallentamento della crescita in paesi come Cina, India e Brasile infliggeranno il colpo di grazia all’euro e al desiderio politico di salvaguardare il progetto europeo. L'esaurimento degli sforzi dell’amministrazione Obama e della Federal reserve per incentivare l’economia, il rallentamento della crescita in Cina necessario a evitare che scoppi la bolla del settore immobiliare e l’aumento dei tassi di interesse in India a fronte della crescita dell'inflazione renderanno inutile qualsiasi tentativo di rilanciare l’economia europea sfruttando la debolezza dell’euro e la forza dell’economia tedesca.

In tale contesto, le misure di austerity allo studio in tutti i paesi della zona euro si riveleranno impossibili. Assisteremo a una fuga precipitosa per eludere il patto di stabilità europeo – ciò che accadrà molto presto, come già dimostra l’Ungheria – e le ripercussioni negative sulle politiche economiche e sociali all’interno degli stati membri non si faranno attendere. La de-europeizzazione dell’Europa è già in corso. (traduzione di Anna Bissanti)

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