Dublino, 29 settembre. Un costruttore ha lanciato una betoniera contro i cancelli del parlamento.

Aspettando lo schianto

Il buco della Anglo Irish ha toccato i 50 miliardi di euro. Il governo continua a rassicurare i cittadini, ma la caduta libera dell'economia dell'ex "tigre celtica" sembra inarrestabile.

Pubblicato il 1 Ottobre 2010 alle 14:17
Dublino, 29 settembre. Un costruttore ha lanciato una betoniera contro i cancelli del parlamento.

La crisi bancaria ha colpito molti paesi, dalla Grecia al Giappone agli Stati Uniti. Ma nessuna economia è stata devastata come quella irlandese. Nel corso degli ultimi tre anni quella che un tempo veniva chiamata "tigre celtica" ha visto il suo prodotto nazionale lordo ridursi del 17 per cento. Si tratta della contrazione più profonda e fulminea mai registrata da un paese occidentale dopo la Grande depressione.

Al culmine del grande boom, durato dal 1990 al 2007, i prezzi degli immobili erano più alti a Dublino che a Londra. Da allora sono crollati di circa il 40 per cento, e stanno continuando a scendere. Di questo passo il paese avrà presto l'onore, non esattamente gradito, di dover affrontare la più grande bolla immobiliare della storia moderna. Nel 2008 i finanzieri scherzavano sul futuro del paese dicendo che tra l'Islanda in bancarotta e l'Irlanda al verde c'erano solo una lettera e pochi giorni di differenza. Avevano torto. Oggi la realtà ha superato qualsiasi previsione catastrofica.

Nel frattempo i ministri di Dublino hanno promesso e continuano a dire agli elettori che le cose stanno cominciando a migliorare. Prestiti di emergenza alle banche? Sono necessari e serviranno. Tagli selvaggi alla spesa pubblica? Aiuteranno la ripresa. La decisione di caricarsi sulle spalle l'intero sistema bancario senza imporre alcun limite agli istituti? Questa volta andrà alla grande. Sbagliato. Sbagliato. Sbagliato. Come qualcuno che precipita dal tetto di un grattacelo, l'economia irlandese ha soltanto proseguito nella sua caduta vertiginosa.

Ieri è ricominciata la solita solfa. Il ministro delle finanze Brian Lenihan ha promesso agli elettori che l'"incubo" nazionale con il quale hanno dovuto convivere negli ultimi due anni presto sarà superato: "Siamo vicini alla fine". I finanzieri, abituati a sentir recitare sempre il solito copione ogni volta che Lenihan si presenta con un nuovo piano sconsiderato, non sono sembrati affatto convinti. L'ultima sparata del ministro appare davvero grossa, anche se confrontata con le precedenti. Il salvataggio proposto ieri riguarda la Anglo Irish, la banca degli imprenditori edili, la Allied Irish e la Irish Nationwide. Una delle conseguenze del piano sarà il balzo del deficit dall'attuale 12 per cento a uno spaventoso 32 per cento del pil.

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Fiducia e inerzia

Quando un paese si sfascia in modo così spettacolare, le cause della crisi non possono che essere numerose e differenti. Tra quelle principali va ricordata in questo caso l'eccessiva fiducia nei prezzi immobiliari grazie al "fattore benessere" e alle entrate pubbliche. Appena la bolla è esplosa le entrate sono subito collassate. Per il resto, i dirigenti irlandesi possono sostenere di essersi semplicemente attenuti all'ortodossia internazionale per il successo economico: attira i capitali esteri ogni volta che puoi, sfrutta i tuoi vantaggi comparati (che a Dublino come a Reykjavik sembravano essere la finanza) e resta sempre aperto. Ma c'è un'importante lezione da trarre da quella che Gordon Brown ha definito la prima crisi della globalizzazione: restare sul mercato a ogni costo non è sempre la cosa migliore per un piccolo paese con un'economia omogenea. Soprattutto, non lo è se l'economia è guidata da individui incerti e sonnolenti.

Come ha notato Pete Lunn, dell'Istituto di ricerca sociale ed economica di Dublino, l'elite a capo dell'economia irlandese è più chiusa di un guscio d'ostrica. Regolarmente, al termine del suo mandato il più alto funzionario pubblico del dipartimento delle finanze viene messo alla guida della banca centrale. I vertici del paese hanno ammesso l'esistenza di una bolla immobiliare soltanto quando la bolla è esplosa. Quando poi la crisi è divampata hanno accettato passivamente le giustificazioni dei banchieri, che sostenevano di essere semplicemente a corto di liquidità quando in realtà erano completamente allo sfascio. A quel punto hanno fatto quello che ha consigliato il Fondo monetario internazionale: pesantissimi tagli alla spesa pubblica, con il risultato che oggi quasi un lavoratore su sei è disoccupato ed è iniziata un'altra flessione economica.

Esistono dei parallelismi con altri paesi, basta chiedere a Gordon Brown. Tuttavia la grande differenza con la Gran Bretagna è che facendo parte dell'eurozona l'Irlanda non può svalutare autonomamente la sua moneta. L'unica possibilità di mantenere la competitività sul mercato è accanirsi sulle condizioni di vita dei lavoratori. Di conseguenza, qualsiasi cosa dica Lenihan, l'economia irlandese continuerà a precipitare dal grattacielo ancora per un po'. (traduzione di Andrea Sparacino)

Visto dalla stampa

Il giovedì nero di Dublino

In seguito all’annuncio che il costo del salvataggio delle banche potrebbe raggiungere i 50 miliardi di euro, la stampa irlandese ha coniato il termine “giovedì nero”. L’Irish Daily Star titola “Lo strappo dell’Irlanda” e afferma che il paese dovrà affrontare “decenni di guai finanziari” per colpa di “avidi banchieri e ottusi politici”. L’Irish Daily Mirror parla di “avidi corrotti bugiardi”, l’Irish Sun chiede addirittura che i corrotti banchieri siano processati per “tradimento” e calcola che ogni irlandese ci rimetterà 10mila euro.

“Anche se questa cifra non differisce molto da quella che ci aspettavamo, quando è arrivata – quasi fosse un lutto in famiglia – ci ha fatti sentire scoraggiati e impotenti”, scrive l’Irish Examiner. Secondo il quotidiano di Cork “o affrontiamo di petto questa situazione oppure sprecheremo le nostre energie dandoci addosso l’un l’altro, portando a compimento la distruzione di questo paese”. L’Irish Independent sostiene che “è molto meglio conoscere la verità, anche se dura da accettare. I mercati non vedrebbero di buon occhio il tentativo di ammorbidire il piano di ripresa”.

Kevin Myers, columnist conservatore dell’Irish Independent, accusa il paese di pessimismo e sostiene che “il nostro debito è deprimente, ma non è nulla rispetto a quello che la Cina si ritrovò dopo Mao”. Myers ricorda che il 29 settembre la Germania ha finito di pagare i risarcimenti per la Prima guerra mondiale: “I tedeschi negli anni venti fecero ciò che avrebbero poi ripetuto alla fine degli anni quaranta, cinquanta e novanta: hanno portato a termine il lavoro”.

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