Manifesti della campagna referendaria contro i minareti in Svizzera.

L’Europa del No

Le formazioni nazionaliste e ostili all’immigrazione stanno rapidamente entrando nel mainstream politico europeo, e i tradizionali partiti di centro sono costretti a seguirli sul loro terreno. Serve una visione che superi la contrapposizione tra comunità.  

Pubblicato il 5 Ottobre 2010 alle 14:26
Manifesti della campagna referendaria contro i minareti in Svizzera.

La Svezia ha indicato la direzione che l’Europa imboccherà in futuro, e non è la prima volta che ciò accade. Per decenni, infatti, questo paese è stato l'apripista del continente, individuando quel modello misto di libero commercio e solidarietà sociale che è poi diventato un ideale europeo. Ora non più: alle elezioni di questo mese gli elettori svedesi si sono allineati ai loro vicini Ue, voltando le spalle una volta per tutte alla politica tradizionale.

Adesso anche i pragmatici svedesi hanno portato in parlamento un blocco di politici ossessionati da quella che percepiscono come una perdita della loro identità nazionale, arrabbiati contro gli immigrati che minacciano la loro natura di svedesi. Ed ecco che in Europa si afferma una nuova politica. Fino a dieci anni fa gli estremisti erano ai margini. Oggi invece sono una forza parlamentare, e cominciano a influenzare anche il modo in cui si comportano ed esprimono gli altri partiti.

Dopo la caduta del muro di Berlino l’Europa non deve più far fronte a una minaccia comune, e la politica ha perso i suoi punti fermi. La Gemeinschaft (comunità) sta rimpiazzando la Gesellschaft (società). Coloro che fanno risalire tutte le loro sventure nazionali agli immigrati – o all’energia nucleare, o all’Ue, o ai musulmani, o agli ebrei, o all’economia di mercato, o agli Stati Uniti – si stanno coalizzando in nuove comunità politiche, tutte ugualmente pericolose per la società. Per governare una società, infatti, è necessario fare compromessi e darsi delle priorità. A ispirare queste nuove politiche basate sull’identità nazionale è invece semplicemente l'impulso a gridare “No!”

La caduta dei partiti di centro è accelerata dai sistemi elettorali europei, basati sulla rappresentanza proporzionale, che consente perfino ai partiti più piccoli di guadagnare qualche seggio. Ciò ormai preclude a una leadership coerente di affermarsi. Le ultime elezioni nei sistemi proporzionali hanno decretato l’ascesa di partiti nazionalisti e ostili agli immigrati. Alcuni, come l'ungherese Jobbik, sono antisemiti. La destra nazionalista in Europa orientale cerca costantemente di ridimensionare l’Olocausto, paragonando i crimini del comunismo europeo all’efficiente macchina di sterminio dei campi nazisti.

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La regione democratica più vasta del mondo è diventata il terreno di coltura dell'estrema destra, che ha raggiunto l’11,9 per cento in Francia con il Fronte Nazionale, l’8,3 in Italia con la Lega Nord, il 15,5 nei Paesi Bassi con il Pvv di Geert Wilders, il 28.9 in Svizzera con il Partito popolare svizzero, il 16,7 in Ungheria con Jobbik e il 22,9 in Norvegia con il Partito progressista. Significativi partiti di estrema destra esistono anche in Belgio, Lituania, Slovacchia e Slovenia. Un simile supporto riduce il mandato dei partiti tradizionali ed erode la fiducia delle formazioni dominanti della politica post-bellica.

Non è possibile mettere in isolamento queste nuove forze. Per cercare una via d'uscita populista alle proprie difficoltà politiche, il presidente francese Sarkozy ha lanciato una campagna di espulsioni forzate di rom. Perfino i suoi sostenitori sono rimasti sconvolti dalla crudità delle retate. Il commissario europeo Viviane Reding ha paragonato queste espulsioni a quelle degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. La smentita è stata categorica e irritata, ma la deriva di un centrista come Sarkozy è un segno di quello che verrà.

Il declino dei partiti mette a repentaglio il progetto europeo. Dopo aver trascorso dieci anni ad affannarsi per la propria Costituzione, le elite di Bruxelles non trovano risposta alla lenta disintegrazione dei partiti nazionali. La costruzione di un’Europa unita esige partiti nazionali che godano del supporto della maggioranza per concedere maggiori poteri all’Ue, che deve ancora conquistarsi un rispetto sufficiente. La classe al governo a Bruxelles amministra un’economia regionale debole, con 23 milioni di disoccupati e nessun piano concreto.

Vuoto di leadership

La mancanza di una leadership europea è un'occasione per l’estrema destra. Durante la crescita degli anni sessanta si riteneva che i lavoratori stranieri fossero un valore aggiunto per le economie nazionali. Con la crisi attuale quegli stessi lavoratori stranieri sono accusati di sottrarre posti di lavoro, e l'apertura delle frontiere europee è indicata come responsabile.

I partiti nazionali di destra sono all’offensiva. Le comunità regionali – catalani, fiamminghi, scozzesi – si rifiutano di far parte rispettivamente della Spagna, del Belgio o della Gran Bretagna. Il sogno di un’economia europea comune e di un liberalismo sociale che avrebbe dovuto soppiantare il vecchio atavismo delle politiche nazionalistiche è ormai sospeso.

Gli elettori che hanno a cuore la loro comunità e la loro identità stanno plasmando una nuova politica in Europa. Quanti credono che la nuova destra populista stia riportando la politica agli anni del fascismo pre-bellico esagerano. La democrazia in Europa è ancora forte, forse troppo, mentre i i partiti politici si dividono e lo schiamazzo si fa sempre più rumoroso.

Il mito dell’“Eurabia” – la conquista dell’Europa da parte dei musulmani – è destinato a rimanere tale: la maggioranza dei venti milioni di musulmani che vivono in Europa aspira a uno stile di vita da classe media europea , e se da un lato i musulmani continuano ad aumentare, dall’altro in nessun paese potranno diventare qualcosa di più che una minoranza. Ciò che serve all’Europa è una leadership fiduciosa, che possa unire le proprie comunità dietro una visione che sappia dire qualcosa di più di un “No!” (traduzione di Anna Bissanti)

Paesi Bassi

Via al processo Wilders

Il 4 ottobre si è aperto ad Amsterdam il processo contro il leader del Pvv, Geert Wilders. Il deputato islamofobo, che ha offerto il suo appoggio al governo di destra in corso di formazione, è accusato di istigazione all'odio nei confronti dei musulmani. Wilders ha definito l'islam "fascista" e chiesto l'interdizione del Corano, da lui paragonato al Mein Kampf di Adolf Hitler. Secondo Nrc Handelsblad il leader del Pvv, che rischia un anno di prigione o 7.600 euro di ammenda, ha chiesto la ricusazione dei giudici del processo e si è avvalso della facoltà di non rispondere, non prima di aver dichiarato che insieme a lui si processa "la libertà di espressione di molti olandesi" e che "la democrazia ha bisogno di un dibattito aperto e libero, soprattutto sugli argomenti più scottanti".

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