Attualità Jeroen Dijsselbloem

Mr. Euro è sotto stress

Il presidente dell’eurogruppo si è attirato parecchie critiche per la sua gestione della crisi cipriota e per il suo atteggiamento poco accomodante. Ma secondo molti la guida dell’eurozona non può essere un lavoro part-time.

Pubblicato il 28 Maggio 2013 alle 11:35

Alle 19.30 del 13 maggio ha già iniziato a circolare la voce che i 17 ministri delle finanze della zona euro avevano concluso il loro vertice. “Finalmente l’eurogruppo ha un vero leader”, è stata la risposta di uno dei diplomatici della zona euro. Che gli piaccia tenere solidamente in mano le briglie quando dirige un summit è uno dei pochi complimenti che il ministro olandese si sia sentito rivolgere da quando nel gennaio scorso ha assunto la carica di presidente dell’eurogruppo.

I colloqui riservati con funzionari europei e nazionali hanno prodotto infatti una lunga litania di lamentele. Due settimane fa il presidente francese François Hollande si era espresso a favore di un “governo economico” per la zona euro, guidato da “un vero presidente, con un lungo mandato”. Una delle questioni che irrita in modo particolare parecchi dei partiti coinvolti è che i funzionari del governo olandese del ministero delle finanze siano così lenti ad assumere il coordinamento dell’eurogruppo.

Uno degli esempi è il controverso accordo per il bail-in delle banche: Dijsselbloem vuole che siano le banche e, se necessario, i correntisti a pagare il conto quando le cose vanno male, e non i governi. Egli sa che alcuni paesi non condividono la sua opinione, ma ciò non gli impedisce di continuare a ripeterla. All’Aja pensano che possa così avviare un dibattito necessario.

A differenza del suo predecessore Jean-Claude Juncker, Dijsselbloem ha nominato un gran numero di funzionari pubblici all’eurogruppo, il che parrebbe confermare il vecchio cliché secondo cui gli olandesi “parlano troppo e amano dire agli altri cosa fare”. Uno di quelli che parlano tanto è il segretario del tesoro Hans Vijlbrief. Anche se molti lo definiscono una persona competente, “talvolta dà l’impressione che i Paesi Bassi siano l’unico paese a pagare i conti di Grecia, Portogallo, Irlanda e Cipro”, commenta un diplomatico. Un altro funzionario del governo, il direttore delle relazioni finanziarie straniere Focco Vijselaar, non è molto popolare a Bruxelles perché “dice sempre agli altri quello che dovrebbero fare”.

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La nomina di Dijsselbloem è stata architettata dai tedeschi: quando l’anno scorso Juncker ha annunciato di volersene andare, il ministro tedesco delle finanze Wolfgang Schäuble avrebbe voluto prendere il suo posto.Ma quasi tutti erano contrari a questa idea, perché la Germania sarebbe diventata ancor più padrona della zona euro. Quando a novembre Dijsselbloem è subentrato a Jan Kees de Jager ed è parso che i Paesi Bassi adottassero una posizione più moderata, Schäuble ha iniziato a considerarlo una valida alternativa. Molti hanno palesato i loro cattivi presentimenti. Altri hanno chiesto se un ministro potesse rivestire quella posizione “a latere”, soprattutto se si tratta di una persona nuova in quell’incarico.

Schäuble non ha voluto assumere la presidenza a tempo pieno, sostenendo che ci saremmo ritrovati con un’altra istituzione europea. Voleva che la presidenza andasse a “una capitale europea”, dove almeno la gente sa cosa accade nel mondo. Ma alla fine ha cambiato idea. Anche la cancelliera Angela Merkel ha accettato l’idea che l’eurogruppo dovesse avere una presidenza permanente, per almeno due buoni motivi.

Prima di tutto Dijsselbloem a febbraio si era rifiutato di escludere la possibilità che i correntisti delle banche dovessero mettere mano al proprio portafoglio per sopperire alle perdite delle banche cipriote. Ciò ha dato adito a una vera e propria fuga di capitali da Cipro. Poi a marzo ci fu la celebre lunga notte, durante la quale molti minacciarono di ricorrere al veto e scongiurare questo esito divenne l’obiettivo principale. Ne seguì una decisione sgradevole: i titolari di conti inferiori ai centomila euro, coperti dalla garanzia europea sui depositi, persero denaro. Sono in molti a dubitare che ciò sarebbe accaduto se al timone ci fosse stato Juncker. In ogni caso Dijsselbloem, che dà retta al suo staff all’Aja, non intervenne.

Dijsselbloem deve affrontare un altro problema: Bruxelles sembra in preda alla nostalgia per Juncker, unico altro presidente dell’eurogruppo dal 2005 e rappresentante alquanto particolare del federalismo europeo, per la precisione di tipo autoritario. Sembra che tutti abbiano dimenticato il suo modo di agire confuso e i suoi problemi con l’alcool.

Appeso al rating

Berlino si è arrabbiata per i commenti di Dijsselbloem usciti sul Financial Times alla fine di marzo, secondo cui i correntisti in futuro dovrebbero pagare di più per salvare le banche. I paesi europei stanno ancora negoziando al riguardo. Non tutti i paesi sono favorevoli a questa idea: chi la sostiene per altro non concorda sui tempi, né sul fatto che debbano essere gli azionisti, i proprietari di obbligazioni e i correntisti a fare i primi sacrifici.

“Non è una buona idea dire agli investitori che devono pagare anche loro, se non si sa nemmeno dove si collocano nella gerarchia”, spiega Sharon Bowles, Presidente della commissione per gli affari economici e monetari del Parlamento europeo. Le azioni delle banche europee hanno perso valore dopo i commenti di Dijsselbloem. Secondo un funzionario europeo questo non gli costerà la testa. “Tuttavia se il rating di una qualsiasi banca europea sarà abbassato dovrà andarsene”.

Il vero problema è capire se nominare un altro ministro al posto di presidente potrebbe scongiurare i problemi. Ecco perché nessuno appoggia la nomina di un altro ministro al posto di presidente part-time, preferendo la nomina di qualcuno disponibile a tempo pieno, non coinvolto in un’amministrazione nazionale, in grado quindi di servire l’interesse comune. “La cosa migliore che può fare l’eurogruppo”, ha detto Peter Ludlow, “è nominare un presidente permanente, esperto e neutrale. Un presidente part-time che cerca di fare due mestieri a tempo pieno non funzionerebbe”.

Tutti concordano sul fatto che non è facile controllare l’eurogruppo, dato che non è composto soltanto dai 17 ministri, ma anche dai tre membri della troika, la Bce, la Commissione europea e il Fmi. Talvolta i loro vertici sono talmente complessi che i vari gruppi al suo interno devono dividersi per cercare di accordarsi tra loro prima di poter convincere tutti gli altri. In qualche caso le decisioni sono preconfezionate dai paesi che hanno la “tripla A”. In altri casi, a proporre soluzioni già concordate è il club di Francoforte, costituito daei paesi più grandi della zona euro insieme a Bce e Fmi. Insomma, regna la disorganizzazione e talvolta i paesi più grandi pestano i piedi ai più piccoli.

"L’eurogruppo è un vestigio del secolo scorso. Rappresenta tutto ciò che c’è di sbagliato nell’architettura dell’edificio europeo”, dice Guntram Wolff del think tank Bruegel. Tuttavia, se i governi volessero provarci, togliere il diritto di veto ai paesi dell’eurogruppo richiederebbe un emendamento al trattato dell’Unione europea, per cui servirebbero anni. Un’alternativa migliore potrebbe essere abbozzare un trattato diverso per l’eurozona, che coinvolga soltanto i paesi che hanno adottato l’euro. Così tutto saebbe nelle mani del presidente. E forse questo è davvero troppo per un ministro.

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