La crisi è servita a qualcosa

Di fronte alle difficoltà economiche i paesi Ue hanno capito di non potercela fare da soli. Così sono arrivati ad accordarsi su questioni che li dividevano da anni, come la pesca, le frontiere e il diritto d’asilo.

Pubblicato il 14 Giugno 2013 alle 15:41

Il caos economico continua nell’Unione europea, ma il quadro non è del tutto buio. I paesi membri di recente sono riusciti a dimostrare una maggiore volontà di superare alcune controversie che si protraggono da lunga data.

Di conseguenza, l’accordo di fine maggio sulla riforma della politica per la pesca è di gran lunga migliore di quanto si temesse. Se i paesi firmatari metteranno in pratica le risoluzioni che hanno appena accettato, le riserve ittiche potrebbero tornare a livelli che ne garantiscano la stabilità. Questo argomento dimostra che l’Unione può benissimo essere un vettore di energia positiva. Nessun’altra struttura internazionale affronta la questione della pesca eccessiva. Gli oceani non sono soggetti ad alcuna normativa o regolamentazione ed è difficile impedirne lo sfruttamento incontrollato in tutto il mondo.

La questione del ripristino dei controlli alle frontiere tra paesi membri ha anch’essa trovato soluzione con una normativa approvata a Bruxelles alcune settimane fa. Pochi anni prima Francia e Italia avevano tentato di far approvare nuove regole che miravano ad autorizzare gli stati membri a reintrodurre il controllo dei passaporti. La Danimarca aveva chiesto controlli permanenti sul ponte dell’Øresund che la collega alla Svezia.

La commissaria europea Cecilia Malmström, che è svedese, si è opposta a queste velleità di restringere la mobilità dei cittadini e ha fatto prevalere il suo punto di vista. Il regolamento prevede perfino di limitare la possibilità per i paesi membri di stabilire controlli alle frontiere di loro iniziativa.

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Anche in materia di politica d’asilo, gli stati membri hanno finito col trovare un terreno comune di intesa. I negoziati si erano trascinati per anni, contraddistinti da profondi dissensi e infatti appena un anno fa erano ancora in pochi a credere fermamente nella possibilità di un accordo. Ora, la primavera scorsa, le divergenze di colpo si sono trasformate in convergenze.

Il 12 giugno il parlamento europeo dovrebbe pronunciarsi su una serie di progetti di legge previsti dall’accordo, che stabiliscono un inasprimento delle regole da osservare in materia di accoglienza dei profughi e di esame delle domande d’asilo. Secondo Malmström l’introduzione di nuovi disposizioni nell’insieme dei paesi membri si tradurrebbe nel miglioramento generale delle pratiche.

Berlusconi e Sarkozy

Certo, non ci siamo ancora arrivati. Senza contare che non tutte le disposizioni di accordo sono positive. L’archiviazione delle impronte digitali di chi presenta domanda d’asilo in un unico database denominato Eurodac implica una gestione centralizzata e una vigilanza delle persone che è ancora lontana dall’essere realizzabile.

Tuttavia gli accordi sulla pesca, le frontiere e la politica d’asilo vanno tutti nella direzione giusta. Soltanto pochi giorni fa la Corte europea di giustizia ha stabilito che in base ai termini del regolamento di Dublino i profughi minorenni non accompagnati da adulti non possono essere trasferiti da un paese all’altro, e ciò testimonia l’umanizzazione dell’Europa.

Cosa significa tutto ciò? Una fonte mi ha detto che la Commissione è ormai logorata dagli stati membri: dopo anni di colloqui, i paesi non hanno più la forza per mantenere le loro posizioni e trovare un terreno di intesa. Altri avanzano una spiegazione politica: Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi sono ormai fuori gioco e con loro i principali sostenitori del ripristino delle frontiere in Europa.

Ma c’è anche un’altra spiegazione per questa improvvisa propensione al compromesso degli stati membri. Se da una parte li dividono e li mettono l’uno contro l’altro, le difficoltà economiche possono essere anche vettori di unità: la crisi ha dimostrato che i paesi sono vulnerabili e dipendono gli uni dagli altri. E quando serve bisogna fare fronte comune.

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