Né Grexit né Grecovery

A un anno dalle elezioni il governo Samaras cerca di dare l’impressione che il paese ha superato la crisi e va verso la ripresa. Ma se le proteste sono finite è soprattutto perché i greci sono ormai rassegnati.

Pubblicato il 17 Giugno 2013 alle 11:28

Quando gli scrittori vogliono cambiare il corso della storia che raccontano utilizzano quella che si definisce una svolta. E questo è quanto ha deciso di fare anche il governo greco nelle ultime settimane: cercare la svolta risolutiva nell’iter della crisi. “Nessuno parla di un’uscita della Grecia dalla zona euro, bensì di recupero della Grecia. Di un Grecovery invece che di una Grexit, potremmo dire”, ha dichiarato il primo ministro Antonis Samaras il 13 giugno dopo un vertice con la sua controparte finlandese a Helsinki.

È uno slogan efficace per il messaggio che i leader greci cercano di diffondere ormai dai mesi, prima con qualche cautela e ora più apertamente: il rischio di un’uscita della Grecia dalla zona euro sarebbe scongiurato ed è arrivato il momento della ripresa. I dati più recenti sul miglioramento della situazione economica, la decisione di Fitch di aumentare di un grado il rating del debito e la tregua con i mercati sono tutti punti a favore perché si possa iniziare a scrivere l’incipit di una “storia di successo”, come Samaras ha pensato di fare durante una sua recente visita in Cina.

Ma la “svolta ” dichiarata dal governo non coincide granché con la vita quotidiana dei greci. “Che cosa cambia se affermano che le cose volgono al meglio? Il mio portafoglio è vuoto oggi come sei mesi fa”, dice Illyria, grafica freelance 36enne . “Lavoro, è vero, ma non mi pagano”, dice sconsolata, guardando piazza Syntagma. Mentre in tutta Europa era stata annunciata una mobilitazione contro la troika, la settimana scorsa, la piazza è rimasta semivuota. “Dov’è la gente? Che cosa ci rimane se non protestiamo?”, ripete la giovane donna, mentre due dei pochi manifestanti appendono tra due alberi uno striscione con lo slogan: “Popolo unito contro la troika”.

La piazza vuota non è certo segno di ottimismo. Se le dimostrazioni non richiamano più tanta gente a sei anni dall’inizio della crisi, è perché tre anni di ininterrotta austerity hanno anche logorato l’animo di tanti. Parecchi gruppi colpiti dai tagli si riuniscono tutti i giorni, ma le loro proteste si vanno facendo sempre meno intense.

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“Potremmo parlare per ore del perché la gente non scende più in strada a protestare”, ammette Alex, uno dei pochi presenti alla dimostrazione paneuropea. “Ma è anche vero che la gente è stanca di protestare e molti devono concentrarsi sulla sopravvivenza quotidiana”, aggiunge questo ingegnere che nel 2010 ha deciso di ritornare in Grecia dalla Danimarca, dove aveva trovato un posto di lavoro dopo aver preso la specializzazione. In Grecia lavora in proprio, anche se ammette che i clienti sono pochi.

“Uno dei motivi per i quali ci sono sempre meno dimostranti in piazza è che per protestare bisogna avere una speranza, il sogno che le cose cambino” dice Dimistris Cristopoulos, docente di scienze politiche all’Università Panteion di Atene. “Negli ultimi mesi i centri del potere politico hanno cercato di farci intendere che le cose vanno bene. Ma dobbiamo porci tre domande: è vero? Si tratta di una semplice strategia di comunicazione? Può funzionare? La risposta alla prima domanda è negativa: no, non è vero. La risposta alla seconda è positiva: sì, si tratta di una strategia di comunicazione, perché noi tutti dobbiamo capire che questo violento esperimento al quale è stata sottoposta la Grecia funziona. Quanto alla terza domanda, la risposta è ancora sì: questo tipo di comunicazione funziona, perché anche se la situazione è peggiore rispetto a due anni fa, noi di fatto ci ritroviamo davanti a una società sconfitta, a una forma di rassegnazione totale verso ciò che sta accadendo”.

Sondaggi favorevoli

Ma per Samaras – che il 18 giugno torna ad Atene per incontrare i responsabili della troika dei creditori internazionali, mentre ancora infuria la controversia sul rapporto dell’Fmi, che ammette gli errori commessi nel primo bailout della Grecia del 2010 – ci sono altre buone ragioni per ben sperare. L’ottimismo nasce anche dal fatto che dai sondaggi il suo partito risulta al primo posto, davanti al partito di sinistra Syriza. “Nuova Democrazia è ancora una volta in testa nei sondaggi perché la gente vuole credere che le cose stiano migliorando. Sanno che non è così, ma hanno bisogno di crederci. Enon dimentichiamo l’immaturità della sinistra”, dice Cristopoulos.

Un altro motivo è che adesso c’è una certa stabilità politica, sostiene Nikos Skikos, docente di informatica: “Le cose vanno meglio rispetto a un anno fa, perché almeno adesso abbiamo un governo che fa qualcosa”, dice Skikos, il cui stipendio è sceso da 1400 a 1000 euro al mese.

“L’aspetto psicologico conta moltissimo e il governo lo sfrutta. I datori di lavoro sono più ottimisti perché vedono segnali di stabilità politica. Si avverte un po’ di sollievo: le vendite non sono aumentate, ma calano più lentamente”, dice l’analista politico Dimistris Kontogiannis. “Il successo si misura col fatto che dal punto di vista del governo e della troika le cifre sull’abbassamento del deficit sono migliorate e fanno ben sperare. Ma l’economia reale è ben diversa e c’è tanta miseria. Le cifre tendono sempre a migliorare prima di avere un effetto concreto sulle vite delle persone. E, almeno per un altro anno o due, successo e povertà andranno di pari passo”. Almeno finché avrem una disoccupazione al 27 per cento.

Su un muro di Atene, dove per tre anni un’intera generazione di giovani senza futuro ha dato sfogo alla propria rabbia, si legge: “Dove è il mio bailout?” Parole scomode, quasi superflue in questa nuova versione della nostra storia.

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