Proprio quando la Francia aveva ammorbidito la sua posizione e riavviato il dialogo con la Turchia sull’accesso all’Ue, aprendo un varco per la ripresa dei negoziati dopo un’interruzione di tre anni, un altro stato ha deciso di alzare le barricate.
La settimana scorsa Berlino ha bloccato la riapertura dei colloqui con Ankara sulla politica regionale, uno dei 35 capitoli del regolamento che i potenziali nuovi membri devono accettare prima di inoltrare la loro richiesta.
La Germania sostiene che la sua obiezione (non definitiva) è di “natura tecnica”, ma in assenza di una spiegazione più esaustiva la decisione è stata interpretata come una risposta alla repressione delle proteste in Turchia. Dopo la notizia dell’irruzione della polizia nell’ospedale tedesco di Istanbul e dell’uso di gas lacrimogeni in un albergo utilizzato come rifugio dai manifestanti (ma occupato anche da politici tedeschi), la cancelliera tedesca Angela Merkel ha dichiarato che la risposta delle autorità è stata “eccessiva”.
In vista delle elezioni generali tedesche del prossimo 22 settembre, Merkel potrebbe aver scelto di congelare il dialogo con la Turchia sperando di trarre qualche vantaggio politico, anche perché l’opinione pubblica tedesca è tradizionalmente scettica riguardo all’ingresso della Turchia nell’Unione. Mentre i liberali, partner di coalizione della cancelliera, sono aperti all’idea, nella bozza di programma del partito di Merkel si legge chiaramente che Ankara non presenta al momento “i requisititi per entrare nell’Ue”.
È innegabile che ricorrendo all’uso della forza e minacciando le libertà civili Recep Tayyip Erdogan non abbia favprito la causa del suo paese. La sua risposta a una protesta pacifica evidenzia infatti un atteggiamento autoritario che potrebbe compromettere il delicato equilibrio tra la Turchia laica e le comunità religiose.
Ma è altrettanto vero che interrompere continuamente il dialogo penalizza enormemente il processo. Umiliati più volte dai rifiuti dell’Europa, i politici turchi mettono in dubbio apertamente la sincerità dell’Europa, e alcuni sono addirittura convinti che la Turchia dovrebbe voltare le spalle a Bruxelles.
Scendere dalle barricate
Ironicamente, Erdogan e il suo partito Akp sono stati i principali beneficiari dell’apertura dell’Europa, perché la convergenza legale ha permesso alla Turchia di avviare un processo di democratizzazione e liberarsi dall’ombra dello stato kemalista autoritario.
L’Ue ha il diritto di esprimere chiaramente le sue riserve sulla gestione della protesta, ma è palesemente ipocrita da parte dei paesi europei che hanno bloccato il cammino della Turchia verso l’adesione (e allentato la pressione per un’ulteriore liberalizzazione) sostenere adesso che il negoziato non può proseguire perché il governo di Ankara è troppo autoritario.
Se i governi Ue vogliono davvero (come dicono) una Turchia pluralista come partner, devono scendere dalle barricate e riavviare il dialogo.
Turchia-Germania
Crisi diplomatica
Il probabile rifiuto dell’apertura di un nuovo capitolo dei negoziati sull’adesione della Turchia all’Ue potrebbe sancire “il prossimo grande fallimento per Recep Tayyip Erdoğan e il suo governo”, commenta Der Standard. “In questo momento al governo riesce tutto male. È una debacle, anche perché l’esecutivo non impara dai suoi errori”, prosegue il quotidiano austriaco:
L’impertinenza con cui Erdoğan e il suo ministro degli affari europei Egemen Bagis […] attaccano il Parlamento europeo, la Commissione e i governi dell’Ue è stupefacente.
Da una settimana il primo ministro turco ripete che non intende “scommettere un soldo” sul Parlamento europeo, nota Der Standard ricordando che il ministro di Erdogan ha criticato la cancelliera tedesca per aver condannato pubblicamente gli scontri tra manifestanti e polizia a Istanbul.
La querelle “pesa sempre di più sulle relazioni turco-tedesche”, sottolinea Die Welt. Il 21 giugno Berlino ha convocato l’ambasciatore turco in Germania per esprimere la sua “profonda incomprensione”, e Ankara ha reagito convocando l’ambasciatore tedesco in Turchia.