"Potremmo chiamarla la parabola del turacciolo", scrive Stefano Cingolani su Il Foglio a proposito della crisi del Portogallo. Come quelle di Grecia e Irlanda, l'economia portoghese paga le conseguenze di un enorme indebitamento, sproporzionato alle sue piccole dimensioni. Ma il vero problema non è il debito, ma il fatto che non riescono a produrre abbastanza reddito da poter ripagarlo. E le ragioni sono strutturali.
Per anni il Portogallo ha contato sulle esportazioni di beni a basso valore aggiunto su cui aveva però un ampio vantaggio comparato, come i tappi di sughero presi a esempio da Cingolani. Ma quando è arrivato l'euro le cose sono cambiate. "Improvvisamente, il Portogallo si è trovato a vivere, produrre, vendere, esportare con una valuta forte, grosso modo come il marco. Non è una coincidenza che le cose siano andate davvero male dal 2001 in poi".
Non è solo colpa dell'euro, ma della classe politica che non ha saputo prevedere le sue conseguenze: "l’ingresso nella moneta unica avrebbe richiesto una profonda riconversione, un balzo competitivo basato sulla qualità non solo sul prezzo, insomma una riconversione dell’economia".
Disoccupazione
Donne e giovani le prime vittime
“Già 600mila persone sono senza lavoro”, titola Jornal de Notícias. L’Ocse prevede che in Portogallo la disoccupazione passerà dall'attuale 10,7 per cento all’11,4 per cento nel 2011. Il quotidiano cita un economista secondo il quale il motivo è “l’ottimizzazione permanente delle risorse, dei processi e delle tecnologie”. Il che significa, in pratica, che le aziende “cercano di lavorare meglio con sempre meno dipendenti”. Nel trimestre luglio-settembre, le principali vittime della disoccupazione sono stati donne e giovani al di sotto dei 25 anni, con tassi rispettivamente del 12,4 e 23,4 per cento, mentre le aree più colpite sono il nord e l’Algarve.