Palestinesi sul muro che circonda l'insediamento di Hashmonaim, in Cisgiordania

Il blocco dei fondi allontana la pace

L’Ue vuole bloccare i finanziamenti alle aziende e istituzioni israeliane con sede oltre i confini del 1949. Una mossa che non tiene conto della realtà sul terreno e premia l’intransigenza dei palestinesi.

Pubblicato il 19 Luglio 2013 alle 15:26
Palestinesi sul muro che circonda l'insediamento di Hashmonaim, in Cisgiordania

Chissà cosa pensava l’Unione europea quando ha deciso di stabilire delle linee guida che se messe in pratica porrebbero fine a tutte le sovvenzioni, i premi e gli “strumenti finanziari” per i centri di ricerca e sviluppo, le società hi-tech, le istituzioni accademiche e altre aziende ed enti situati al di là della linea dell’armistizio del 1949? Per quanto abbia cercato di presentare questa mossa come niente di più che un tentativo di “mettere le regole per iscritto”, come ha detto un funzionario dell’Ue, l’Ue in realtà doveva conoscere le implicazioni legate al fatto di mettere in pratica posizioni molto lontane dalla realtà oggettiva sul campo.

Come ha scritto Heb Keinon, corrispondente per le questioni diplomatiche per il Jerusalem Post, il documento che raccoglie le nuove linee guida “non fornisce un’apertura, ma una voragine per penalizzare le istituzioni israeliane che si trovano all’interno dei confini antecedenti al 1967 e hanno attività imprenditoriali oltre la Linea Verde”.

Non soltanto gli europei negheranno finanziamenti e cooperazione agli enti israeliani situati o operativi lungo la linea dell’Armistizio del 1949, ma esigeranno che tutti i futuri accordi tra Israele e Ue includano una clausola che prevede che Israele accetti la posizione dell’Ue, che considera tutti i territori oltre la Linea Verde come non appartenenti a Israele. Alcuni luoghi della Città Vecchia di Gerusalemme, come il Muro occidentale (o Muro del Pianto), il luogo più santo dell’ebraismo, dovranno essere considerati territori non appartenenti a Israele.

[[La posizione europea è assurda e non tiene conto dei fattori demografici e religiosi]] – perfino i palestinesi hanno ammesso che molti quartieri ebraici costruiti dopo il 1967 a Gerusalemme sono destinati a restare – ed è resa ancora più intollerabile dall’inclusione delle alture del Golan tra i territori illegalmente “occupati” da Israele.

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Chiaramente gli europei sono consapevoli del caos che sconvolge la Siria e del fatto che non c’è un governo responsabile a cui le alture del Golan possano essere restituite. Alla luce dell’anarchia che domina in Siria, perché gli europei credono che Israele dovrebbe essere punito con un boicottaggio per essersi tenuto, e avervi fatto rispettare l’ordine, territori che caddero in mano sua quando si difese da un’offensiva degli eserciti alleati di Giordania, Egitto e Siria?

La situazione non è molto diversa in Cisgiordania. A chi ci si aspetta che Israele possa “restituire” in modo credibile la Cisgiordania? La leadership palestinese è spaccata tra Hamas, che aspira a distruggere Israele, anche nel caso in cui rientrasse nei confini antecedenti al 1967, e l’Autorità palestinese controllata da Fatah, che è priva di legittimità democratica (le elezioni presidenziali avrebbero dovuto svolgersi nel 2009), si rifiuta di entrare in negoziati diretti senza precondizioni e continua a vedere le città all’interno della Linea verde come Jaffa e Acri come parti integranti di un futuro stato palestinese.

Sotto pressione

Sui palestinesi ricadono le gravi responsabilità dello stallo nei negoziati finalizzati a una soluzione con due stati. A giudicare dal trattamento che l’Autorità palestinese ha riservato ai giornalisti palestinesi, dal modo in cui ha violentemente represso dissenso e dalla sua corruzione, c’è da dubitare che uno stato palestinese possa proteggere i diritti umani di base. Se non altro l’Ue dovrebbe astenersi da mosse unilaterali indirizzate a ognuna delle parti in conflitto, come riconoscimento della complessità della questione.

Malgrado una rinnovata volontà sia da parte di Israele sia dei palestinesi di sedersi a un tavolo per parlare, abbinata a un entusiastico appoggio da parte della Lega Araba, le pressioni dell’Ue su Israele non aiuteranno i colloqui di pace.

Ci rendiamo conto che i politici di molti stati europei sono sottoposti a forti pressioni da parte di una popolazione musulmana radicalizzata che aumenta costantemente di numero ed è sempre più determinata, e da parte di altri gruppi antisionisti, perché assumano una posizione più rigida nei confronti di Israele. Ma se l’intransigenza palestinese è ricompensata con una maggiore pressione dell’Europa su Israele, ciò istigherà ancora maggiore intransigenza.

Perché accettare negoziati e fare concessioni dolorose fintanto che le pressioni internazionali continueranno a rimanere incentrate esclusivamente su Israele? Il presidente israeliano Shimon Peres, molto esperto in fatto di negoziati di pace, è consapevole della natura teoricamente controproducente delle sanzioni dell’Ue: “Non varate sanzioni irresponsabili che potrebbero nuocere al processo di pace. La questione è complessa e delicata. Rimandate le vostre decisioni. Fate della pace una priorità e datele una possibilità. La vostra decisione potrebbe portare a un’altra crisi nella nostra regione”. Parole sagge.

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