Un rudere della guerra a Vukovar, giugno 2013

Un’altra chance per Vukovar

Nel 1991 l’Europa non è riuscita a proteggere la città dalla distruzione. Oggi con l’adesione della Croazia all’Ue potrebbe avere l’occasione di rimediare.

Pubblicato il 23 Luglio 2013 alle 12:17
Un rudere della guerra a Vukovar, giugno 2013

Leo ha aspettato 17 lunghi anni prima di ritornare in questa città distrutta dalla guerra. Per scampare ai combattimenti era fuggito a Spalato, dove vivere era più facile. “Sono nato qui”, dice facendo spallucce. “Riconosco le persone per strada, ma sono cambiate. Siamo diventati tutti estranei gli uni agli altri”, dice Leo, che poi racconta di aver sperato di tornare, dopo la guerra, in queste strade dove al mattino i vicini si salutavano cordialmente.

E invece ha trovato in un muro di silenzio e di diffidenza. Durante la guerra nell’ex Jugoslavia, Vukovar ha subito per mesi un assedio terribile. Di quella tragica esperienza trapela ancora qualcosa oggi per le strade. Regna la
tensione tra abitanti croati e serbi. Secondo Leo i cambiamenti in città sono soltanto estetici. Perché se l’amicizia è veramente la cosa migliore del mondo, forse imporla dall’alto non è così semplice.

Il primo luglio l’Unione europea ha accolto la Croazia come nuovo membro, ma a Vukovar l’evento è passato sotto silenzio. [[Non c’era nessuno nelle strade a sventolare bandiereì]]. L’Europa e Vukovar si sono già incontrati una volta. Ventuno anni fa, durante la guerra, gli abitanti di questa città situata alla frontiera con la Serbia hanno sperato invano che gli europei li aiutassero. Ma l’Ue non era abbastanza forte per affrontare i fantasmi dei Balcani. La città è stata quasi del tutto distruttadai serbi.

A prima vista Vukovar è una piccola città come le altre, di appena trentamila abitanti. Il passato appare soltanto qua e là. Attraverso un edificio distrutto nel bel mezzo di una piazza. O scoprendo, tra i nuovi edifici, la torre del serbatoio dell’acqua crivellata dalle granate, lasciata lì come fosse un monumento alla memoria.

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Moltissimi croati hanno potuto far ritorno a Vukovar soltanto nel 1998, dato che fino a quella data la città era stata sotto amministrazione serba. Le dispute per il controllo continuano ancora oggi. L’ultima battaglia a oggi riguarda le scritte bilingui. In virtù della legge croata sulle minoranze i serbi hanno diritto a scritte in cirillico, perché rappresentano oltre il 30 per cento della popolazione cittadina.

Questa prospettiva irrita i veterani di guerra: costoro sostengono infatti che i dati del censimento sono falsi e che i serbi a Vukovar sono appena il 20 per cento della popolazione. “[[Ce l’hanno ancora con noi. Hanno semplicemente cambiato tattica]]”, esclama indignato Zdravko Komšić, un ex difensore della città.

Anche Mirjana Semenić-Rutko è del parere che il numero dei serbi a Vukovar sia minore quanto affermano le cifre ufficiali. Titolare di uno studio ginecologico, ha lavorato durante la guerra in un ospedale locale. Oggi è membro del partito nazionalista dell’Unione democratica croata (Hdz). “Quando si perde qualcuno in guerra, il dolore non dura soltanto pochi giorni. Diventa una parte di noi. Non siamo stati noi a Vukovar ad aver sparato e ucciso”. Le ricordiamo che anche i croati hanno ucciso. Lei ammette che “in nessuna guerra c’è una parte innocente”. La differenza, secondo lei, sta tutta nel fatto che i croati hanno ammesso i loro crimini e che “i serbi dovrebbero fare altrettanto”.

Ma i serbi hanno altre rivendicazioni. “Noi chiediamo soltanto ciò a cui abbiamo diritto in virtù della legge”, afferma Dušan Latas a proposito del conflitto sulle scritte. È il rappresentate serbo del villaggio di Borovo, situato nei pressi di Vukovar. Ma le manifestazioni violente lo preoccupano. “Temo le proteste in uniforme, quelle in cui si sventolano le bandiere militari”, spiega. Poi cerca di convincerci che “non sono le persone di qui a organizzarle. Noi siamo in buoni rapporti”.

Classi separate

La scuola materna locale illustra molto bene i rapporti tra serbi e croati a Vukovar. La scuola ha due ingressi, in strade diverse. Dal primo entrano i bambini serbi, dal secondo quelli croati. All’interno della scuola i figli delle due comunità hanno ciascuno la propria classe. Serbi e croati in comune hanno soltanto il cortile. E se nessuna recinzione li separa, non per questo possono varcare quell’invisibile confine. “[[Nel cortile a ricreazione, tutto si svolge in modo separato. Da una parte i serbi, dall’altra i croati]]. Le maestre controllano che l’ordine sia rispettato, perché non amano che i bambini si mescolino tra loro”, dice Andreja Magoć, psicologo della scuola elementare.

Malgrado ciò, nessuno desidera ritrovarsi di nuovo alle prese con la guerra. “Siamo persone normali, e vorremmo vivere come si vive ovunque” confida il medico Semenić-Rutko. “Ma non dobbiamo dimenticare quello che è accaduto. I nostri figli devono poter vivere in pace".

La conclusione dei processi per i crimini di guerra potrebbe essere da questo punto di vista un buon inizio. E l’Unione europea potrebbe a questo punto essere di grande aiuto. Esercitando pressioni sulla Croazia prima della sua adesione, l’ha obbligata di fatto ad affrontare il suo passato e i suoi crimini di guerra. Per Vukovar il processo a Vojislav Šešelj è ancora più importante: è lui ad aver mandato le unità paramilitari che hanno distrutto la città e assassinato i suoi abitanti.

“Occorre dare inizio da entrambe le parti a un intenso lavoro di riflessione storica. Ciò che è accaduto davvero è come ricoperto da un velo leggendario” dice Filip Tesař, uno specialista ceco dei Balcani. Egli ritiene che chiudendo almeno simbolicamente un capitolo riguardante il passato, il processo potrebbe spalancare la porta a un dialogo indispensabile. Lo psicologo Charles David Tauber, la cui ricerca verte sui traumi imputabili alla guerra a Vukovar, è dello stesso parere. Secondo lui, gli abitanti tendono a raccontare a modo loro quello che è accaduto, a partire da quello a cui hanno assistito. “In seguito trasmettono i loro stessi traumi e la loro visione personale di quello che è accaduto ai loro familiari, alle loro comunità e alle generazioni successive”.

“L’Ue ha l’obbligo di confrontarsi con queste esperienze di guerra, a Vukovar come altrove, per tutti coloro che entrano oggi in Europa”, dice ancora Tauber. “Riconciliando Croazia e Serbia, il progetto di unificazione europea potrebbe costituire per i Balcani un successo di portata simbolica altrettanto importante di quello che ha rappresentato per l’Europa dell’ovest la riconciliazione di francesi e tedeschi”, conclude Tesař. “Se ci riuscisse, lancerebbe un segnale molto forte per gli altri paesi della regione”.

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