Sorpresa, l’Ue è un buon affare

Un'inchiesta del governo ha dimostrato che per l'economia britannica l'appartenenza all'Unione comporta più benefici che svantaggi. Per Cameron sarà più difficile ottenere il rimpatrio dei poteri chiesto dai conservatori euroscettici.

Pubblicato il 23 Luglio 2013 alle 15:46

Le facce dei ministri del governo Cameron si sono improvvisamente allungate. Con disappunto dei colleghi euroscettici, infatti, l’attesa verifica dei rapporti tra Londra e l’Ue ha prodotto risultati molto diversi dalle aspettative. A quanto pare Bruxelles non sta succhiando la linfa vitale della democrazia britannica e nemmeno appesantendo l’economia del Regno Unito con regolamenti superflui. Al contrario, nonostante tutta l’inevitabile irritazione, sembra che l’Ue abbia un effetto benefico sugli interessi nazionali. 
Il governo britannico ha pubblicato la prima tranche di rapporti nell’ambito di una rassegna complessiva sull’adesione del Regno Unito all’Unione europea. Il primo lotto comprende alcuni studi sull’“equilibrio delle competenze” a proposito del mercato unico, delle politiche fiscali, della politica estera, della sicurezza alimentare, della tutela degli animali, della salute e dello sviluppo. Per rispettare le posizioni divergenti all’interno della coalizione – Nick Clegg non condivide l’ostilità dei Tory verso quasi tutto ciò che è europeo – la ricerca è stata affidata in gran parte a funzionari pubblici neutrali. 
Il risultato è una serie di rapporti che illustrano la realtà per quello che è, eliminando ogni giudizio ideologico o politico. I risultati hanno spinto il primo ministro a rinviare la pubblicazione fino a quando i conservatori di secondo piano più ostili all’Ue hanno abbandonato Westminster per la sospensione dei lavori parlamentari. Clegg voleva che il rapporto fosse reso pubblico durante una conferenza stampa ministeriale, ma il clan di Cameron ha insistito affinché non ci fosse troppo clamore. 
In ogni caso a restare delusi saranno anche quegli europeisti che cercavano il colpo da ko. Nonostante stabiliscano che il mercato unico ha garantito grandi vantaggi all’economia britannica, infatti, i rapporti sottolineano anche la difficoltà di quantificare questi guadagni. Inoltre, mentre il mondo degli affari sostiene la legislazione paritaria necessaria per il funzionamento del  mercato unico, non esiste un consenso sulle leggi sociali e ambientali. 
L’elemento più sorprendente, comunque, è la distanza tra le conclusioni e l’intento originario del progetto. L’idea iniziale, infatti, era quella di creare un trampolino di lancio per la riorganizzazione su larga scala delle competenze Ue, chiesta dai falchi euroscettici come requisito minimo per confermare l’adesione. Alcuni ministri come Iain Duncan Smith, Owen Paterson e Philip Hammond hanno addirittura protestato contro l’approccio imparziale dei funzionari, e a Whitehall un consigliere di Hammond si è persino lamentato del fatto che il rapporto sulla politica estera e la difesa poggiava eccessivamente sulle prove. 
Dai rapporti, comunque, emergono tre grandi conclusioni. La prima è che il mercato unico è uno specchio dell’integrazione delle economie moderne. Le compagnie dipendono dalle “quattro libertà”: dei beni, dei servizi, delle persone e del capitale. Le catene di approvigionamento transfrontaliere, gli standard condivisi, la mobilità della forza lavoro e la produzioni multicentriche sono pilastri del mondo degli affari contemporaneo, e dipendono dalla creazione di regole e standard comuni. 
Il Giappone ha espresso chiaramente una posizione che probabilmente molti paesi “terzi” condividono in privato, sottolineando che gli investimenti nel Regno Unito (e i posti di lavoro che creano) sono legati a doppio filo alla possibilità di accedere ad altri mercati Ue. Per fare un esempio più ordinario, l’industria britannica della trasformazione alimentare non potrebbe sopravvivere se le sue complesse catene di produzione transfontaliere non operassero seguendo un unico regolamento. Lo stesso discorso vale per altre industrie e molti servizi. Il concetto di fondo è che in caso di uscita dall’Ue Londra sarebbe comunque costretta dai suoi interessi economici a rispettare le regole dell’Unione, ma senza avere più voce in capitolo nel processo legislativo. 

Libera scelta

La seconda conclusione è che l’Europa e il resto del mondo sono mercati complementari per l’industria britannica. Per capirlo basta analizzare i dati presentati da Vodafone. L’introduzione delle regole Ue sulle telecomunicazioni ha infatti concesso alla compagnia la possibilità svilupparsi fino a diventare un provider europeo, e soltanto dopo aver conquistato una posizione di forza in europa Vodafone ha potuto realizzare le sue ambizioni globali. D’altro canto le compagnie straniere come Bmw usano le loro strutture britanniche per esplorare mercati emergenti, una pratica possibile soltanto grazie agli accordi stretti dall’Ue con i paesi terzi. 
La terza conclusione è che, indipendentemente dalla retorica, i governi britannici scelgono di operare attraverso Bruxelles anche quando non sono costretti a farlo. Nelle questioni che riguardano la politica estera e la difesa, dove le istituzioni dell’Ue sono relativamente deboli, spesso Londra cerca di coordinarsi con i suoi partner europei. In altri ambiti il Regno Unito lavora addirittura per estendere le competenze dell’Unione. Per esempio a proposito della protezione degli animali, un campo che sembra prerogativa naturale dei governi nazionali, il Regno Unito avrebbe chiesto con insistenza la creazione di un regolamento comune. 
In definitiva i rapporti presentano diversi ambiti in cui l’Ue ha bisogno di riformarsi o in cui le regole europee dovrebbero essere abbandonate per lasciare spazio a quella nazionali, ma sottolineano anche quanto sarebbe difficile e costoso per il Regno Unito abbandonare l’interdipendenza. L’ideologia degli euroscettici è andata a sbattere contro le prove, e non c’è da stupirsi che Cameron ha abbia dovuto aspettare di essere al sicuro dopo la sospensione dei lavori parlamentari.

Commento

Pappa e ciccia con Bruxelles

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Il Daily Telegraph ricorda che l’analisi consegnata al primo ministro doveva fare luce sui rapporti tra il Regno Unito e l’Ue, ma sottolinea che avrebbe dovuto anche “dimostrare le proporzioni allarmanti dell’ingerenza europea nella nostra governance e condividere con il pubblico la preoccupazione e lo stress di chi è costretto a lottare con le direttive europee ogni giorno”. In questo senso secondo il Daily Telegraph i rapporti rivelano

fino che punto Whitehall è felicemente in combutta con Bruxelles. I rapporti sono stati redatti con la supervisione parziale del Foreign Office, da tempo una roccaforte dell’eurofilia, e sotto l’egida di un primo ministro che preferisce chiaramente un voto per la conferma dell’adesione, sempre che sia possibile ottenere concessioni adeguate. I documenti pubblicati ieri, di conseguenza, fanno di tutto per sottolineare i benefici dell’Europa.

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