Attualità Disoccupazione giovanile
"Traditori". Atene, 7 novembre 2012

Quale destino per la generazione perduta?

In questi anni di crisi economica e di difficoltà politiche, aumenta il divario fra le generazioni. Come si comporteranno i giovani che hanno conosciuto il declino?

Pubblicato il 5 Agosto 2013 alle 11:21
"Traditori". Atene, 7 novembre 2012

Attualmente nei Paesi Bassi i disoccupati rappresentano l’8,9 per cento della popolazione attiva, cioè circa 675mila persone. Non siamo un’eccezione. In tutta Europa occidentale circa otto milioni di giovani non hanno né un lavoro né una formazione. Qualche mese fa L’Economist ha calcolato che dall’inizio della crisi, intorno al 2007, la disoccupazione giovanile nel mondo occidentale è aumentata del 30 per cento toccando ormai 26 milioni di persone.
Basta un po’ di buon senso per capire che tutto ciò avrà necessariamente delle conseguenze. Del resto i dirigenti europei ne sono consapevoli. La cancelliera tedesca Angela Merkel ritiene che la disoccupazione giovanile è il problema numero uno in Europa e mette in guardia contro il pericolo di una “generazione perduta”. L’appello a reagire a questa situazione da parte delle alte sfere si fa sempre più pressante, conferma la gravità del problema e spinge l’opinione pubblica a interrogarsi sulle misure da prendere.
Ben presto dovrebbe vedere la luce un nuovo programma europeo. Nei prossimi due anni l’Europa dovrà sbloccare otto miliardi di euro per i paesi più colpiti, la Grecia, la Spagna e il Portogallo. La Banca europea di investimento (Bei) aiuterà a formare dei giovani, a creare delle piccole imprese e così via. Speriamo che queste misure siano efficaci.
Tuttavia la nostra crisi non è solo economica. L’intera Europa occidentale e gli Stati Uniti soffrono di una mancanza di convinzione politica. Nessun partito o dirigente politico è riuscito a ispirare la maggioranza dell’elettorato. A quanto pare in tutto l’Occidente da anni la classe politica è a disagio. Le guerre non hanno portato alcun risultato e le popolazioni hanno assistito in gran parte al deterioramento progressivo della situazione economica. Le classi medie sono scontente e sempre più irrequiete. E ogni giorno che passa i cittadini si vedono sempre più confortati nelle loro opinioni. Lo spettacolo di Detroit, in passato al centro dell’industria automobilistica mondiale e oggi diventata una città in rovina e con una criminalità dilagante, è solo la dimostrazione più recente di questa condizione.
Questa crisi rappresenta da tutti i punti di vista una rottura rispetto a un passato ricco e ottimista. Oggi ci si pone la questione di sapere come le nuove generazioni si comporteranno in queste circostanze. Abbiamo già assistito a rotture generazionali. Nella storia la più sconvolgente si è concretizzata nel Terzo Reich ed è nata da una forma di revanscismo provocato da una guerra mondiale persa, dalla crisi economica degli anni Trenta, dalla debolezza della Repubblica di Weimar e dal talento oratorio di Hitler.
Non voglio dire che siamo prossimi all’arrivo di “un nuovo Hitler”. Non si tratta di questo. Desidero solo sottolineare che anche lui negli anni Trenta si era rivolto al popolo tedesco in modo positivo. A questo proposito vale la pena leggere il saggio di Sebastian Haffner, Anmerkungen zu Hitler [Appunti su Hitler]. Indipendentemente dal riarmo e dalla sua politica estera, Hitler ha fatto ripartire l’industria tedesca e ha lottato efficacemente contro la disoccupazione. E se ci è riuscito è stato proprio grazie a una profonda rottura intergenerazionale.

La nuova era

Nei Paesi Bassi abbiamo provato questo fenomeno di recente. E posso testimoniarlo personalmente. Sono stato un adolescente durante la guerra, che si è conclusa con l’Inverno della fame [in occasione dell’ultimo inverno della Seconda guerra mondiale, la carestia ha provocato la morte di oltre 20mila olandesi]. Dopo la liberazione ho vissuto il fallimento della svolta politica e l’inizio della guerra con l’Indonesia, terminata a sua volta con un fallimento e per la quale abbiamo inviato 150mila soldati all’altro capo del mondo.
In seguito il governo ha creduto di poter ricominciare a occuparsi degli affari correnti. Ma anche questo è stato impossibile, come ha dimostrato il romanzo di W.F. Hermans, Ik heb altijd gelijk (1951) [Ho sempre ragione, un romanzo sulla vita di un soldato olandese in Indonesia dal 1947 al 1949 e sul suo ritorno nei Paesi Bassi]. Una lettura obbligata per chiunque voglia capire i meccanismi di una rottura intergenerazionale. In letteratura è apparso il gruppo dei Vijftigers [poeti degli anni Cinquanta].
Poi è arrivato il movimento [anarchico e contestatario] Provo e quello degli squatters. Nel corso di quegli anni è divenuto chiaro che i Paesi Bassi di prima della guerra erano ormai definitivamente relegati al passato. In seguito le generazioni sono cresciute nella disciplina della Guerra fredda. E dopo il 1989 è cominciata una nuova era.
È impossibile prevedere come si presenterà questa nuova rottura intergenerazionale. Chi aveva dieci anni nel 1990 come ha vissuto la crescente ricchezza degli anni Novanta, e poi l’insidioso declino del decennio successivo, seguito da una crisi per ora senza rimedio? Quale ruolo hanno i media sociali per questa generazione perduta? Si preannuncia una nuova forma di resistenza? E che forma prenderà? Questi temi favoriranno la realizzazione di un film a carattere profetico o di un documentario sociopolitico?
Talvolta mi dico che soffriamo innanzitutto di una mancanza di immaginazione e non ne siamo neanche consapevoli.

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